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April 17,2025
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Un racconto picaresco – lento ritorno a casa
Primo Levi è un autore che amo particolarmente. Condivido i contenuti ma soprattutto sono in perfetta sintonia con la sua scrittura.
Levi prova ad avvicinarsi il più possibile alla (sua) verità e a descriverla nel modo più preciso.
Qualunque effetto speciale è bandito dalle sue pagine; forse ha sempre scritto così, forse ha elaborato questo stile per conferire la massima attendibilità ai suoi scritti, che sono iniziati come testimonianza.
Ha un approccio scientifico alla scrittura: scrivere per comunicare, con la massima chiarezza.
Il lavoro più importante viene fatto tuttavia sulle emozioni, che vengono lasciate riposare: parla il cervello, con una dolcezza, un ritegno e una umana comprensione degne di un patriarca.
Detto questo, La tregua è il tempo che trascorse fra la liberazione da Auschwitz (27 gennaio ’45) e il ritorno a casa (19 ottobre ’45), tempo trascorso a vagare a piedi o in treno per Polonia, URSS, Romania, Ungheria, Cecoslovacchia, Austria, Germania insieme a centinaia di italiani che come lui tentavano di rimpatriare. Questo tempo indefinito venne vissuto come un limbo, nello stupore generale dei Russi (il nazismo è finito, il cielo è azzurro, avete da mangiare, di cosa vi preoccupate?) ma in seguito venne pensato come una lunga convalescenza dello spirito, un dono del destino, tempo dedicato all’elaborazione della terribile esperienza.
Il libro è un racconto delle avventure picaresche di queste centinaia di italiani più o meno affidati ai russi.
Il ricordo che Levi ha dei russi è buffo: estremamente disorganizzati, benevoli, dall’aspetto talvolta selvaggio,
abituati a vivere l’istante.
Le avventure raccontate sono molto varie, tanti gli esseri umani che appaiono e scompaiono e ci sono storie straordinarie.
E’ un libro abbastanza gioioso, la primavera con le sue speranze che segue il lungo inverno.
Rimane il ricordo del giovane Levi, che avvicinandosi all’Italia sente montare come un’onda la necessità di raccontare; che la notte, a Torino, nel suo letto sognava atmosfere familiari e gioiose che pian piano sbiadivano, si svuotavano, raggelavano, fino a rendersi conto che era ancora un altro risveglio ad Auschwitz: Wstawac –Svegliarsi-.
April 17,2025
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Di questo viaggio picaresco Primo Levi ci riporta i luoghi e gli stati d’animo che lo accompagnavano, ma soprattutto le persone incontrate. Personaggi e avventure raccontate con l’esperienza del narratore navigato, che ha raffinato il suo eloquio smussando gli angoli ed esaltando le tinte dei suoi racconti davanti a platee di ragazzini delle medie e durante serate tra amici, prima di pubblicare La tregua. Sono racconti. Tristi allegri o semplicemente notabili, ma in cui non viene mai meno l’esigenza profonda di ogni racconto: riferire lo straordinario e quanto di anomalo o inaspettato può succedere nella vita. Curioso, e fatalmente incompreso dai suoi compagni di viaggio, lo scrittore annota e registra nella sua memoria visi, lingue sconosciute e paesaggi immensi. Un mondo sparito, e non solo a causa dei rivolgimenti della guerra, della caduta degli imperi, della fuga degli ebrei aschenaziti in Israele o per la Guerra Fredda. È un limbo fragile, che durerà finché Russia e USA non si saranno spartiti l’Europa in rovina, le improvvisate famiglie di guerra dovranno decidere in che paese vivere e tutti i rifugiati saranno tornati alle loro case.

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April 17,2025
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Negribēju lasīt šobrīd ar Holokaustu saistītu literatūru, bet nonācu tādā situācijā, ka jālasa. Nenožēloju. Ja par grāmatu var katru nedēļu 2-3h sarunāties ar foršiem cilvēkiem, tad no katras var paņemt TIK daudz. Bez sarunām droši vien daudz palaistu garām. Tagad neapšaubāmi 5/5. Un kā Džords Stainers šā mēneša Rīgas Laikā saka par holokausta aprakstītājiem: "Primo Levi ir vis, vis, vispārākais".
April 17,2025
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4.5. Pierwsza część była absolutnie porażająca. Ta ma zupełnie nowe sposoby łamania czytelnika.
"Wolność, której osiągnięcie wydawało się nieprawdopodobne, wręcz niemożliwe, wolność daleka od Auschwitz tak bardzo, że w naszych snach tylko mogliśmy o niej marzyć, nadeszła wreszcie, nie przenosząc nas jednak do Ziemi Obiecanej. Była wokół, lecz pod postacią ponurej, bezludnej równiny. Czekały nas inne próby, inne trudy, inny głód, chłody i obawy".
Bardzo wartościowe świadectwo nie tylko wyzwolenia, ale też tego, jakim turbo syfem, bólem, biedą i rozczarowaniem był czas bezpośrednio po wojnie.
April 17,2025
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Questo romanzo, scritto nel 1961-62, è la naturale prosecuzione delle vicende narrate in Se questo è un uomo; inizia ad Auschwitz nel freddo gennaio del 1945, data della liberazione del lager da parte delle truppe sovietiche, e finisce a Torino, dopo un interminabile viaggio di quasi 10 mesi.

Pur accomunato al precedente da una terribile continuità narrativa ho percepito in questo libro un ritrovato, diffuso senso di libertà inframezzato ai ricordi della tremenda esperienza nel lager. Ed è un segno indelebile che, oltre che nel corpo, rimane nell’anima di Primo Levi.

Il finale, confermandolo, mi ha lasciato attonito.

Lo stile di Levi è semplice e lineare, quasi da cronaca, eppure sempre coinvolgente nel racconto di questa interminabile odissea attraverso tanti paesi, tutti con le ferite ancora aperte dal conflitto mondiale.

Tra i compagni di viaggio, i vari protagonisti sono ben caratterizzati nella loro diversità di cultura, carattere, morale ed abilità ad affrontare le situazioni più disparate.
Alcuni muoiono, altri ce la fanno e il racconto di Levi ce li fa conoscere un po’ tutti: dal piccolo Hurbineck che aveva tre anni e forse era nato in Auschwitz e non aveva mai visto un albero, al greco Nahum che a prima vista non presentava nulla di notevole, salvo le scarpe, ma era capace di intrattenere gli altri con grande abilità ed era interamente votato al lavoro (termine che comprendeva anche il contrabbando, il furto e la truffa); dal signor Unverdorben, prigioniero di un sogno, anzi di due, a Galina, la sola amica russa in quel paese sterminato ritrovata per caso, evocando il ricordo delle ore passate con lei, delle cose non dette, delle occasioni non colte.

Mentre in Se questo è un uomo ho rivissuto l’orrore dello smarrimento del senso della vita, in questo viaggio di ritorno a casa ho percepito uno spirito di fratellanza, di entusiasmo e di amore verso quella vita ritrovata.

Una lettura, anzi due, indispensabili per non dimenticare, mai.
April 17,2025
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Un libro su cui è difficilissimo scrivere un commento. Mi limiterò dunque a trarre alcune citazioni e a commentarle. E si tratta sempre di citazioni che graffiano l'anima.
I tedeschi hanno abbandonato Auschwitz, lasciandosi dietro morte e desolazione. E i pochi sopravvissuti allo sterminio provano un assurdo pudore, quasi una vergogna, per quello che hanno dovuto passare e per essere sopravvissuti.
Cosí per noi anche l’ora della libertà suonò grave e chiusa, e ci riempí gli animi, ad un tempo, di gioia e di un doloroso senso di pudore, per cui avremmo voluto lavare le nostre coscienze e le nostre memorie della bruttura che vi giaceva: e di pena, perché sentivamo che questo non poteva avvenire, che nulla mai piú sarebbe potuto avvenire di cosí buono e puro da cancellare il nostro passato, e che i segni dell’offesa sarebbero rimasti in noi per sempre, e nei ricordi di chi vi ha assistito, e nei luoghi ove avvenne, e nei racconti che ne avremmo fatti.
[...]
In quei giorni e in quei luoghi, poco dopo il passaggio del fronte, un vento alto spirava sulla faccia della terra: il mondo intorno a noi sembrava ritornato al Caos primigenio, e brulicava di esemplari umani scaleni, difettivi, abnormi; e ciascuno di essi si agitava, in moti ciechi o deliberati, in ricerca affannosa della propria sede, della propria sfera, come poeticamente si narra delle particelle dei quattro elementi nelle cosmogonie degli antichi.
Anche se gli stermini nazisti si sono conclusi, la morte continua a sorvolare su Auschwitz, continuando a mietere vittime, come il piccolo Hurbinek. [Hurbinek era un nulla, un figlio della morte, un figlio di Auschwitz. Dimostrava tre anni circa, nessuno sapeva niente di lui, non sapeva parlare e non aveva nome: quel curioso nome, Hurbinek, gli era stato assegnato da noi, forse da una delle donne, che aveva interpretato con quelle sillabe una delle voci inarticolate che il piccolo ogni tanto emetteva... Hurbinek, che aveva tre anni e forse era nato in Auschwitz e non aveva mai visto un albero; Hurbinek, che aveva combattuto come un uomo, fino all’ultimo respiro, per conquistarsi l’entrata nel mondo degli uomini, da cui una potenza bestiale lo aveva bandito; Hurbinek, il senza-nome, il cui minuscolo avambraccio era pure stato segnato col tatuaggio di Auschwitz; Hurbinek morí ai primi giorni del marzo 1945, libero ma non redento. Nulla resta di lui: egli testimonia attraverso queste mie parole.]
E, come Hurbinek, molti altri moriranno in quei giorni liberi ma non redenti
Perché la libertà ancora è lontana e forse, per chi ha assistito e vissuto le atrocità di Auschwitz, non sarà mai completa.
Era avvenuto qualcosa che solo pochissimi savi tra noi avevano previsto. La libertà, l’improbabile, impossibile libertà, cosí lontana da Auschwitz che solo nei sogni osavamo sperare era giunta: ma non ci aveva portati alla Terra Promessa. Era intorno a noi, ma sotto forma di una spietata pianura deserta. Ci aspettavano altre prove, altre fatiche, altre fami, altri geli, altre paure.
Dopo essersi ripreso dalla scarlattina e da vari altri malesseri, Levi verrà trasferito prima a Katowice, in Polonia, [Eravamo entrati in Katowice allegri come scolari in vacanza, ma il nostro umore spensierato urtava ad ogni passo con lo scenario in cui ci addentravamo. Ad ogni passo ci imbattevamo nelle vestigia della tragedia immane che ci aveva sfiorati e miracolosamente risparmiati.]
Qui i reduci di Auschwitz si troveranno l'8 maggio 1945, il Victory Day.
Venne l’8 maggio: giorno di esultanza per i russi, di diffidente vigilia per i polacchi, per noi di gioia venata di nostalgia profonda. Da quel giorno, infatti, le nostre case non erano piú proibite, nessun fronte di guerra piú ce ne separava, nessun ostacolo concreto, solo carte e uffici; sentivamo che il rimpatrio ci era ormai dovuto, e ogni ora passata in esilio ci pesava come piombo; anche di piú ci pesava l’assoluta mancanza di notizie dall’Italia.
Ma ancora non è giunto il momento del rimpatrio. Anzi, in seguito a un viaggio piuttosto rocambolesco da uomo libero, ma ancora un po' scaleno per dirlo con le sue parole, Levi e gli altri saranno portati a Staryje Doroghi, nell'attuale Bielorussia.
I personaggi che popolano queste memorie sono davvero indimenticabili, primo tra tutti Cesare, un ebreo romano che faceva il commerciante ambulante e che baratta di tutto pur di mangiare. Memorabile l'episodio della curizetta, che dà il titolo a un capitolo (in russo gallinella si dice kúritsa) e i suoi baratti con Irina per il latte, tutti fatti di gesti e di versi.
Irina che poi diventa serissima quando assume il compito di funzionario alla distribuzione del sapone per le docce.
Delle docce in cui Levi sembra voler sdrammatizzare altre docce, soprattutto quando parla della camera di disinfezione scaldata a 120° in cui i pidocchi esplodono e da cui i russi entrano ed escono con indifferenza.
Finalmente, dopo mesi nella Casa Rossa ad attendere non si sa cosa, Levi e gli altri vengono messi su un treno per rimpatriare. Passeranno per un breve tratto anche in Germania, e sarà un momento dolorosissimo.
Ma ritornare alla vita di prima dopo la terribile esperienza non sarà per niente facile. I mesi trascorsi a Katowice, a Staryje Doroghi e lungo la strada sono stati una tregua, un periodo di tempo in cui è stato impegnato a fare altre cose che lo hanno distratto e non lo hanno fatto riflettere su quanto era accaduto ad Auschwitz. Ora, ritornato in Italia, Levi sa che col ritorno alla vita quotidiana sarà costretto a ricordare gli orrori, e quasi pensa che il suo periodo di attesa, di tregua avrebbe potuto durare di più, per non dover affrontare il dolore.
I mesi or ora trascorsi, pur duri, di vagabondaggio ai margini della civiltà, ci apparivano adesso come una tregua, una parentesi di illimitata disponibilità, un dono provvidenziale ma irripetibile del destino.
April 17,2025
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Non possiamo che stare in silenzio di fronte a tutto ciò che ci racconta Primo Levi e non possiamo far altro che ritenerci fortunati di vivere in un paese in pace. Un viaggio lungo, estenuante, pieno di peripezie ma dove, finalmente i sopravvissuti ai campi di sterminio hanno potuto assaporare un po’ di umanità dopo tanto orrore. É incredibile cosa abbiamo dovuto sopportare queste persone anche dopo la fine della guerra, senza avere la minima idea di quello che sarebbe stato il loro destino. Libri che tutti dovrebbero leggere una volta nella vita per non dimenticare mai quello che è stato!
April 17,2025
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C'è l'orrore di Auschwitz ma è nascosto, come se fosse lo spettro che si aggira tra le parole. C'è la forza di riprendersi e di tornare alla vita normale.
C'è l'idea di r-esistere. Perché questo sono: dei sopravvissuti che sono riusciti a superare gli orrori di Auschwitz.
Da terre straniere ed estranee, finalmente fanno ritorno in Patria.
April 17,2025
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Itāļu izcelsmes ebreju ķīmiķa Primo Levi grāmatu "Atelpa" lasīt ierosināja tikšanās ar tulkotāju Daci Meieri. Atkal sanāca rakstīt dikti plaši, jo pārējās divas vēl netulkotās Primo Levi grāmatas noteikti kādreiz gribēšu izlasīt un mans blogs man ir arī piezīmju vieta fona informācijai par autoriem, varoņiem, notikumiem, lai pēcāk nav jāmeklē un jāgrābstās vēlreiz. Izbaudiet šo neparasto stāstu, kas nav tikai ļauns vai tikai labs. Levi izvairās no šādas kategorizēšanas, kas rada neparastu skatījumu uz laiku pēc Aušvicas nāves nometnes ieslodzīto brīvlaišanas.

Plašāk blogā: https://lalksne.blogspot.com/2019/12/...
April 17,2025
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Tra il prima rappresentato da Auschwitz e il suo veleno e il dopo che lo aspetta al rientro dall'inferno, ci sono i mesi di viaggio che Primo Levi, profugo, affronta nel ventre dell'Europa desolata: un viaggio che fa da cuscinetto tra il campo di concentramento e il futuro che verrà, una tregua, una parentesi, un tempo sospeso.
http://exlibris20102012.blogspot.it/2...
April 17,2025
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Where Survival in Auschwitz took my breath away and made me unable to move, The Reawakening filled me with hope again. Oh, of course it's still - I don't even know the word. But here, I did laugh a couple of times, while it moved me at the same time. It was less intense than Survival in Auschwitz, but it did gave me more space in my chest again. Which is probably a strange way to put it, but that's the only way to describe it.
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