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Puoi trovare questa recensione anche sul mio blog, La siepe di more
Ci ho messo un bel po’, ma alla fine ho proseguito la cosiddetta Trilogia di Auschwitz, alias i tre libri scritti da Primo Levi sulla sua esperienza come prigioniero nel campo di sterminio e il suo successivo ritorno in Italia. Proprio del ritorno si occupa La tregua, scritto molti anni dopo Se questo è un uomo e molto più ponderato.
Non ho molto da scrivere: La tregua fa parte di quei libri che si leggono e dai quali si cerca di formarsi gli anticorpi per non costringere mai più nessun essere umano in un abisso di disumanità tale da dover rimparare a vivere per come siamo abituatз – così tanto abituatз che è difficile dare una definizione di cosa sia esattamente vivere. Non ce la stiamo cavando granché bene e questo fin da quando Levi era ancora vivo: ma d’altro canto, lui stesso ci ha detto che è una lotta continua, che bisogna sempre mantenere la guardia alta, senza mai rilassarsi.
A questo proposito, e ben conscia dell’irragionevolezza del paragone tra la nostra situazione attuale con quella storica dei campi di concentramento, qualcosa si è smosso dentro di me nel leggere della tregua tra Auschwitz e l’incubo di Auschwitz. Ne leggo ovunque e la sento dentro di me: la sensazione di essere sull’orlo del cambiamento e di star cadendo indietro, dalla parte delle risposte fallimentari che ci hanno portato a questo presente pantanoso.
Nel mio piccolo e per assurdo, ho sentito l’angoscia di quello che è stato e potrebbe ritornare e che, purtroppo, in alcune zone del mondo, è già ritornato. Ma anche senza l’orrore estremo dei campi di sterminio, nel mondo ci sono innumerevoli segnali di pericolo, minimizzati e sdrammatizzati con la sicurezza di chi è convintǝ che quella è storia vecchia, passata, da studiare sui libri di scuola per prendere la sufficienza e via.
Ci siamo rilassatз troppo. Come se ne esce adesso? Come si riprende la retta via senza deragliare di nuovo?
Ci ho messo un bel po’, ma alla fine ho proseguito la cosiddetta Trilogia di Auschwitz, alias i tre libri scritti da Primo Levi sulla sua esperienza come prigioniero nel campo di sterminio e il suo successivo ritorno in Italia. Proprio del ritorno si occupa La tregua, scritto molti anni dopo Se questo è un uomo e molto più ponderato.
Non ho molto da scrivere: La tregua fa parte di quei libri che si leggono e dai quali si cerca di formarsi gli anticorpi per non costringere mai più nessun essere umano in un abisso di disumanità tale da dover rimparare a vivere per come siamo abituatз – così tanto abituatз che è difficile dare una definizione di cosa sia esattamente vivere. Non ce la stiamo cavando granché bene e questo fin da quando Levi era ancora vivo: ma d’altro canto, lui stesso ci ha detto che è una lotta continua, che bisogna sempre mantenere la guardia alta, senza mai rilassarsi.
A questo proposito, e ben conscia dell’irragionevolezza del paragone tra la nostra situazione attuale con quella storica dei campi di concentramento, qualcosa si è smosso dentro di me nel leggere della tregua tra Auschwitz e l’incubo di Auschwitz. Ne leggo ovunque e la sento dentro di me: la sensazione di essere sull’orlo del cambiamento e di star cadendo indietro, dalla parte delle risposte fallimentari che ci hanno portato a questo presente pantanoso.
Nel mio piccolo e per assurdo, ho sentito l’angoscia di quello che è stato e potrebbe ritornare e che, purtroppo, in alcune zone del mondo, è già ritornato. Ma anche senza l’orrore estremo dei campi di sterminio, nel mondo ci sono innumerevoli segnali di pericolo, minimizzati e sdrammatizzati con la sicurezza di chi è convintǝ che quella è storia vecchia, passata, da studiare sui libri di scuola per prendere la sufficienza e via.
Ci siamo rilassatз troppo. Come se ne esce adesso? Come si riprende la retta via senza deragliare di nuovo?