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April 17,2025
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In The Reawakening, Auschwitz survivor Primo Levi describes his epic journey home to Italy after the Russians liberated the camps. It's a worthy sequel to Levi's Survival in Auschwitz, but also stands on its own as a picaresque, and poignant, adventure. Levi's emphasis on language as necessity to survival carries over from his earlier book, and you learn the words he learns as he makes his way across Poland and into Russia and through Hungary and Romania. You learn as he learns the black market value of a shirt in eggs, hard-boiled or uncooked. You learn the supreme importance of shoes, and of mechanical and psychological ingenuity. Above all, you learn the stories he learns from his fellow displaced people -- deportees, camp survivors, POWs, soldiers.

Of course, you don't learn just as he learns. Although he describes it very well, it is difficult to fully realize the destruction of Europe after WWII. There has been no war inside my country for 140 years. So it's hard to imagine the full effects of the breakdown of infrastructure, regular economy, and government that results from war. It took Levi something like 10 months to get to Italy from Poland. In most places, currency was useless, so people had to find other ways to get food and clothing. There was enormous migration as people who had been displaced or deported tried to get home -- at one point, because it was the only language they shared, Levi tried to describe the concentration camps in Latin to a priest. Oh, it's an amazing book, and I imagine, in certain ways, it has illustrations for things happening in Iraq right now. But you can also check out the video podcast of Alive in Baghdad to see some stories of how people are dealing with daily life under occupation.

This book is also sometimes called The Truce, and was made into a movie of the same name. I haven't seen that movie, for two reasons: 1. John Turturro stars as Primo Levi. I just can't get over the fact that John Turturro is tall and physically imposing. How can he be the great listener that Levi was? 2. I want to make a movie of the Reawakening, and I have lots of big ideas about it that I guess probably won't be in the Truce, but I don't want to spoil them until I really know that I'm never going to make the movie.
April 17,2025
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Sorprendentemente bello. È propriamente il seguito di "Se questo è un uomo", racconta il periodo che va dall'arrivo dei Sovietici ad Auschwitz al ritorno a Torino di Primo Levi. Mentre "Se questo è un uomo" è dominato dal grigiore e dall'oppressione dell'austera gerarchia del Lager, "La tregua" è il luogo del caos, delle peregrinazioni insensate e confuse, del recupero delle energie. Con una ciclicità stagionale, ci muoviamo dall'inverno all'autunno del 1945, dal momento in cui l'arrivo delle truppe russe ad Auschwitz ristabilisce per i prigionieri un contatto con la civiltà ancora debole, distaccato, nonostante il quale i malati del campo restano abbandonati a se stessi e muoiono a centinaia senza cure, al sospirato ritorno a casa sovraccarico di inquietudine e stanchezza. Per mettere in moto questo processo l'ex-prigioniero del Lager abbandona la sua scorza di dolore e si mischia a enormi gruppi di prigionieri di ogni nazionalità, ceto, condizione ed esperienza e viene sballottato qua e là per l'Europa Orientale, in mano alla curiosa e disastrosa organizzazione sovietica, che trattiene questi uomini e queste donne in giganteschi e disadorni campi per ex-prigionieri per diversi mesi senza spiegazioni e indicazioni; tuttavia i soldati russi, in contrapposizione agli omologhi nazisti, sembrano delle benefiche e bonarie divinità del Caos, disorganizzate e negligenti ma generose e liberali, che stabiliscono un certo equilibrio con gli "ostaggi" e li tengono in condizioni dignitose. Il viaggio attraversa Polonia, Ucraina, Bielorussia e poi, finalmente verso casa, a ritroso, di nuovo Ucraina, Moldavia, Romania, Ungheria, Slovacchia e Austria. Questo memoriale ha due grandi anime, una picaresca e una etologica; durante questa esperienza Primo Levi, dimentico di sé, si fa osservatore acuto e attento, si associa ad altri ex-prigionieri per cui prova simpatia e affinità e insieme a loro lotta per la sopravvivenza, prendendo nota dei loro espedienti e delle loro strategie di adattamento, spesso ironizzando sulla propria mancanza di intraprendenza "borghese"; da queste umili persone, precisamente tratteggiate, emergono delle risorse che fanno la differenza in questi mesi difficili, essi comunicano con persone dalle lingue sconosciute, improvvisano scambi commerciali con poco o nulla, ingannano se necessario, spesso si allontanano e riescono a fare ritorno oppure procedono definitivamente da soli riuscendo poi ad arrivare a destinazione, nonostante siano spesso senza soldi, senza scarpe e vestiti e non conoscano il territorio. L'autore si sofferma sul carattere, sulle idiosincrasie e sulle reazioni di questi personaggi, che raramente sono macchiette, più spesso hanno una grande dignità umana e un'enorme capacità di resistenza e coraggio; alcuni sono più provati di altri, alcuni tendono ad associarsi ed altri riassaporano la solitudine e il gusto di una vita più selvatica; i contatti umani sono fugaci e casuali, ma indispensabili e sinceramente bramati. Questo periodo di sospensione post-bellica rilascia i suoi relitti, uomini e donne allo sbando da tutti gli angoli del mondo, in cerca di una casa, di un nuovo inizio, di un senso. Ogni luogo descritto ha il suo colore, i suoi paesaggi e la sua atmosfera, nonostante si tratti spesso di luoghi strani e sperduti: il dinamismo psicologico che caratterizza il testo pervade lo spazio e lo fa complice della contraddittoria crescita interiore dell'uomo liberato. Verso la fine la nostalgia e la stanchezza si fanno sentire sempre di più ma più ci si avvicina al sospirato ritorno più le sensazioni si assottigliano e più alla familiarità dei luoghi si associa lo spettro di un passato che per quanto sia superato resta un inferno interiore, una condizione di solitudine da scontare in mezzo al focolare e ai visi ritrovati; ho trovato molto bella e pregnante questa concentrazione sul periodo centrale, quello di massima lontananza fisica e psicologica sia da Auschwitz che da casa, la "tregua", appunto, un non-luogo e un non-tempo in cui i sopravvissuti possano ritemprare le energie, riscoprire il piacere di vivere e di sognare, di sentirsi umani e dispersi di nuovo. Lo stile è piano ma ricco, stati d'animo e caratteri vengono connotati con una perfezione essenziale, la citazione colta o letteraria è sempre spontanea e aderente al contesto; per il resto la storia si mantiene originale, personale, si nutre dell'osservazione diretta che viene comunque levigata e filtrata. C'è un buon equilibrio tra senso pratico e urgenza empirica da una parte e un'umanità partecipe e moralmente vigile dall'altra, che è la cifra dell'autore.
April 17,2025
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Dopo essere stato colpito nell'anima dallo scientificamente spietato resoconto di un anno nell'inferno di Auschwitz, ho cominciato a leggere questo "la tregua" che ne è il seguito naturale con una certa perplessità.

Perchè quella che avrebbe dovuto essere una uscita da un arroventato e distruttivo girone dovrebbe essere una tregua e non una pace? Questo resoconto del lungo ritorno di Primo Levi dal mondo dei lager alla casa natale a Torino oltre a raccontare con la consueta chirurgica precisione il mondo in transizione del dopoguerra e della rinascita, ne dà una risposta. anzi due.

La prima all'inizio del libro: è la tregua per i popoli dell'Europa orientale tra la tirannia nazista e la non meno spietata tirannia sovietica. Dopo essere miracolosamente scampati alle marce della morte che i nazisti avevano organizzato per non permettere che i subumani sopravvivessero al loro crepuscolo, ed anche alle drammatiche condizioni igienico-sanitarie del lager abbandonato a se stesso, le avventure dei poveri haftling non sono certo finite. Le popolazioni civili della Polonia distrutta dalla guerra non possono farsi carico di organizzare il recupero della salute di centinaia di dannati che escono dal calderone, tantomeno del loro ritorno: di questo si occuperanno i nuovi dominatori, con la cui disordinata ma schiacciante burocrazia essi dovranno fare i conti. Il risveglio alla vita della gente, il risorgere di sensazioni anche fisiologiche che si credevano perdute come la fame o perchè no l'attrazione sessuale, la gioia primitiva di incontrare uno sconosciuto e poterlo considerare un compagno e non un nemico, si temperano con la consapevolezza che è una sospensione temporanea, che terminerà con l'arrivo della tradotta ferroviaria che nel caos e nell'improvvisazione tipiche accompagnerà Primo Levi ed i suoi amici, di nuovo prigionieri, in Bielorussia nelle mani dell'Armata Rossa che si occuperà di loro.

Epperò. Ci si accorge pagina dopo pagina che Levi non riesce a parlare di questo: perchè quando guarda ad est, nelle aliene, desolate ed immense pianure russe, non vede il comunismo ma vede un popolo grande, fiero ed umanissimo che niente ha a che vedere con gli uomini tornati in bestie feroci del terzo reich. E quasi con naturalezza non si parla più di prigionia che i russi non hanno voglia di infliggere e che di fatto in Bielorussia non viene inflitta, lasciando agli italiani grande libertà di vivere e di comunicare: si parla dei contatti con un popolo diverso, legggermente diffidente, ma non ostile; si parla di soldati dalla disciplina improbabile e dall'organizzazione inefficiente che nello sguardo, nell'atteggiamento e nella disponibilità non vedono l'ora di tornare uomini, contadini e operai.

Quasi controvoglia nelle intenzioni ne emerge l'affresco di un popolo grande nel male e nelle soffferenze subite ma anche nella voglia di riemergere, ed umanissimo nella gioia di tornare a vivere ma anche nella sgangherata indifferenza nei confronti di un mondo distrutto da riscostruire e, perchè no, da governare. Non si riesce a voler male ai russi di Primo Levi e questo accentua in me la curiosità nei confronti di questo periodo, perchè questo stride fortemente con l'idea che troviamo in altre opere sulla Russia stalinista: resta il dubbio che con quella realtà non abbiamo ancora finito di fare i conti, e che quei conti non si possono chiudere con una stella rossa o con un banale, mediasettiano libro nero.

Poi però c'è l'altra tregua, in mezzo all'altra guerra, che non può finire mai. Quella che da un vero senso a tutto il libro, quella delle sofferenze e delle ferite spirituali che non si possono rimarginare. lasciando il lager per la vita sospesa ed oziosa della Bielorussia, dove sia pure con una blanda costrizione i russi pensavano a tutto (a loro modo, s'intende, nella disorganizzazione più totale), nelle anime violentate e distrutte dal lager si insinua insieme alla noia la struggente malinconia di una speranza improvvisamente ritrovata e di nuovo delusa, quella del ritorno; l'attesa della casa e della famiglia che si erano date per perse e che sembrano lontane più che mai, nel tempo ma anche nello spazio, perduti come sono nello sconfinato spazio di questo paese cosi diverso da sembrare di un altro pianeta.

E quando si ritorna, alla vista della casa e della famiglia salva, la delusione è grande perchè si scopre che la pace non c'è, non ci può essere dopo il lager e dopo il camino. Niente sarà più come prima perchè anno dopo anno, notte dopo notte, si combatterà la guerra eterna col terrore del ricordo e di un passato che può sempre tornare, evocato dalla visione del tatuaggio che è il tuo nome e da un brusco e sudato risveglio al grido della SS di guardia che ti toglie al riposo per un'altra giornata di abisso.

E' un libro che non riesce ad essere "bello" perchè svolge un compito ingrato; raccontare l'esperienza altrettanto pesante ma meno abbacinante del ritorno dopo il lager: ma è un libro che sicuramente riesce ad essere "utile". Perchè quella della liberazione e del ritorno non è una pace che mette al sicuro la coscienza degli haftling e della nostra, ma è una tregua in una guerra di sofferenza che non ha fine. E se Primo Levi ha finito col soccombere (morirà suicida negli anni ottanta) spetta a chi legge portare avanti questo scontro infinito, ricordando, protestando, impedendo che quanto accaduto possa ritornare ancora.

April 17,2025
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"Saberiam "eles" de Auschwitz, da matança silenciosa e quotidiana, a um passo das suas portas? Se sim, como podiam andar na rua, e voltar para casa e olhar para os filhos, passar o limiar de uma igreja? Se não, deviam, deviam sacramente, ouvir e ficar a saber connosco, comigo, tudo e imediatamente: sentia o número tatuado no braço sibilar como uma chaga."

Primo Levi conta em "A Trégua" o que aconteceu depois de os campos de concentração nazis serem libertados pelos russos. Numa viagem que começou em Auschwitz, passou pela Rússia, Roménia, Hungria e Áustria, Primo Levi precisou de 35 dias até finalmente chegar a sua casa em Turim.

Quando se pensa nos campos de concentração da Segunda Guerra, pensa-se nos horrores que foram lá vividos. Pensamos no durante, nunca no após.
Não é que se pense que os prisioneiros regressaram magicamente às suas casas, aos seus lares. Às suas famílias. Não, nada disso. Mas também nunca pensei no que aconteceu nos dias imediatamente a seguir ao dia da libertação.

Depois da libertação dos campos de concentração pelas forças soviéticas, famílias estavam destroçadas, as cidades estavam completamente destruídas. Os sobreviventes ainda tiveram de penar muito até finalmente irem para casa. Muitos morreram de frio e fome nos dias que separaram a fuga dos nazis e a chegada dos soviéticos. Os que ainda assim sobreviveram não tiveram a vida facilitada.

Primo Levi na sua forma crua, dura, sem floreados retrata assim os dias seguintes à libertação dos campos. Os dias, as semanas, os meses. Um testemunho que vale sempre a pena ler.

"Olhámos uns para os outros, quase desorientados. Tínhamos resistido, afinal de contas: tínhamos vencido. Após o ano de Lager, de sofrimento e de paciência; após a vaga de morte a seguir à Libertação; após o gelo e a fome e o desprezo e a arrogante companhia do grego; após as doenças e a miséria de Katowice; após as transferências insensatas, por que nos sentíamos condenados a errar eternamente através dos espaços russos, como inúteis astros apagados; após o ócio e a nostalgia acerba de Stárie Dorogui, estávamos de novo em subida, portanto, em viagem para cima, a caminho de casa."
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