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Sopra eroi e tombe: a un titolo così, come si può resistere? un titolo a dir poco epico, che promette tutto, tutta la verità sulla grandezza e sulla miseria, sui nobili sentimenti e il nero dell'animo umano, sulla loro indistricabile unità.
Mantiene quello che promette? In effetti mi aspettavo qualcosa di diverso, prima di leggerlo, ma questo non significa che sia rimasta delusa, tutt'altro.
Di certo l'autore sembra prodigasi molto a sondare tenebre, incubi, abissi, follia - in particolare nell'enigmatica parte "Rapporto sui ciechi".
Come il titolo, anche il romanzo è esagerato. Esageratamente onirico o esoterico in alcune parti, esageratamente misterioso in alcune atmosfere. E la narrazione, una volta che si sia riusciti a immergersi in questa atmosfera inquietante e appiccicosa, e in questo modo di raccontare un po' contorto, scorre e trascina come un fiume in piena, con una prosa impeccabile, elegante, evocativa.
La cornice del romanzo è fornita da una storia d'amore tra il romantico Martin e la misteriosa Alejandra; per lui sarà una sorta di cammino d'iniziazione alla vita, per lei uno degli ultimi episodi prima di sprofondare definitivamente negli abissi. E in questa cornice, è dell'uomo che si parla.
Do la parola a Sabato:
[...]l'uomo, da quando si è sollevato sulle due gambe posteriori, ha cominciato a gettare le fondamenta della propria grandezza, ma anche della propria angoscia. Avrebbe costruito quell'edificio strano e potente che si chiama cultura, smettendo di essere un animale, ma senza speranza di diventare il dio che il suo spirito prefigurava. Un essere addolorato e malato, condannato a vivere tra la terra degli animali e il cielo degli dei, che avrà perso il paradiso dell'innocenza senza guadagnare il paradiso della redenzione, che si farà domande, per la prima volta, sul senso dell'esistenza. L'uso delle mani e del fuoco, e poi la scienza e la tecnica, scaveranno l'abisso sempre più profondo che separa l'uomo dalla specie originaria e dalla felicità zoologica.
E la grande città sarà l'ultima tappa della sua corsa impazzita, l'espressione più alta del suo orgoglio e la forma estrema della sua alienazione.
L'animo umano rimarrà definitivamente inconoscibile mediante la semplice ragione; come afferma Fernando, una sorte di eroe del male, il folle ma lucido protagonista del rapporto sui ciechi:
Molte stupidaggini hanno l'aria di impeccabili ragionamenti. Certo, ragioniamo bene, magnificamente, sulla base delle premesse A, B e C. Solo che non avevamo considerato la premessa D, e neanche E o F. Tutto un abbecedario. Dinamica in virtù della quale gli astuti inquisitori della psicoanalisi si sentono con l'anima in pace pensando di aver tratto conclusioni corrette partendo da basi rachitiche.
E' l'arte invece ciò che permette di sondare e conoscere l'uomo; come si legge nell'introduzione di Ernesto Franco:
Se si arriva alla scienza per ansia di verità e conoscenza [...] si può scoprire presto che i suoi strumenti dànno accesso a verità parziali e che la totalità dell'uomo è conoscibile solo attraverso il contraddittorio percorso dell'arte, «perché i grandi problemi della condizione umana non sono adatti alla coerenza, ma sono accessibili unicamente a quell'espressione mitopoietica, contraddittoria e paradossale, affine alla nostra esistenza»
Mantiene quello che promette? In effetti mi aspettavo qualcosa di diverso, prima di leggerlo, ma questo non significa che sia rimasta delusa, tutt'altro.
Di certo l'autore sembra prodigasi molto a sondare tenebre, incubi, abissi, follia - in particolare nell'enigmatica parte "Rapporto sui ciechi".
Come il titolo, anche il romanzo è esagerato. Esageratamente onirico o esoterico in alcune parti, esageratamente misterioso in alcune atmosfere. E la narrazione, una volta che si sia riusciti a immergersi in questa atmosfera inquietante e appiccicosa, e in questo modo di raccontare un po' contorto, scorre e trascina come un fiume in piena, con una prosa impeccabile, elegante, evocativa.
La cornice del romanzo è fornita da una storia d'amore tra il romantico Martin e la misteriosa Alejandra; per lui sarà una sorta di cammino d'iniziazione alla vita, per lei uno degli ultimi episodi prima di sprofondare definitivamente negli abissi. E in questa cornice, è dell'uomo che si parla.
Do la parola a Sabato:
[...]l'uomo, da quando si è sollevato sulle due gambe posteriori, ha cominciato a gettare le fondamenta della propria grandezza, ma anche della propria angoscia. Avrebbe costruito quell'edificio strano e potente che si chiama cultura, smettendo di essere un animale, ma senza speranza di diventare il dio che il suo spirito prefigurava. Un essere addolorato e malato, condannato a vivere tra la terra degli animali e il cielo degli dei, che avrà perso il paradiso dell'innocenza senza guadagnare il paradiso della redenzione, che si farà domande, per la prima volta, sul senso dell'esistenza. L'uso delle mani e del fuoco, e poi la scienza e la tecnica, scaveranno l'abisso sempre più profondo che separa l'uomo dalla specie originaria e dalla felicità zoologica.
E la grande città sarà l'ultima tappa della sua corsa impazzita, l'espressione più alta del suo orgoglio e la forma estrema della sua alienazione.
L'animo umano rimarrà definitivamente inconoscibile mediante la semplice ragione; come afferma Fernando, una sorte di eroe del male, il folle ma lucido protagonista del rapporto sui ciechi:
Molte stupidaggini hanno l'aria di impeccabili ragionamenti. Certo, ragioniamo bene, magnificamente, sulla base delle premesse A, B e C. Solo che non avevamo considerato la premessa D, e neanche E o F. Tutto un abbecedario. Dinamica in virtù della quale gli astuti inquisitori della psicoanalisi si sentono con l'anima in pace pensando di aver tratto conclusioni corrette partendo da basi rachitiche.
E' l'arte invece ciò che permette di sondare e conoscere l'uomo; come si legge nell'introduzione di Ernesto Franco:
Se si arriva alla scienza per ansia di verità e conoscenza [...] si può scoprire presto che i suoi strumenti dànno accesso a verità parziali e che la totalità dell'uomo è conoscibile solo attraverso il contraddittorio percorso dell'arte, «perché i grandi problemi della condizione umana non sono adatti alla coerenza, ma sono accessibili unicamente a quell'espressione mitopoietica, contraddittoria e paradossale, affine alla nostra esistenza»