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Immenso Borges
Se leggendo “Finzioni” non si può fare a meno di ammirare Borges per l’originalità inventiva e il geniale virtuosismo, leggendo “L’Aleph” si impara ad amarlo incondizionatamente. O almeno a me è successo così.
A chi si accostasse per la prima volta a questo scrittore, consiglierei pertanto di iniziarne la conoscenza da quest’opera, che a mio avviso ne rivela più intensamente ed esaustivamente le eccezionali qualità narrative e il singolarissimo profilo intellettuale.
Ciascuno dei diciassette racconti che compongono la raccolta è un universo a sé stante, perfetto e concluso in sé: un piccolo grande capolavoro. E il loro insieme è qualcosa di unico e irripetibile, che dà vita a un’opera-cardine della letteratura universale, destinata a fissarsi in maniera indelebile nella memoria e nell’esistenza stessa del lettore.
Se si rilegge uno qualunque di questi racconti, poi, ci si accorge che ogni volta si aprono nuovi significati, nuove possibili interpretazioni, nuovi orizzonti e percorsi logici. Come appunto succede per i grandi capolavori dell’arte di ogni tempo.
I temi trattati sono quelli universali – il tempo, il destino, la divinità, il mistero della vita e della la morte; l’amore, l’odio e la solitudine; il dolore, la guerra, la vendetta, l’abisso insondabile della mente umana e la pazzia... – Borges però li sviluppa in maniera del tutto personale, sovrapponendo a evidenti citazioni erudite (da letterati, filosofi, storici, matematici, ecc. del passato) il prodotto della sua sconfinata immaginazione. Fatti e personaggi inventati sono così accostati a quelli reali, risultando spesso più concreti e credibili, o addirittura necessari a meglio interpretare teorie e vicende.
La prosa di Borges, potente e inafferrabile, contribuisce in maniera determinante alla fruizione del racconto, in quanto le descrizioni (di personaggi, animali, architetture, luoghi, gesti...) e la formulazione dei concetti si avvalgono di termini densi, sofisticati e fortemente evocativi, che ad una analisi approfondita suggeriscono all’intelletto e alla creatività del singolo lettore infinite immagini e infinite interpretazioni.
“Considerai che anche nei linguaggi umani non c’è proposizione che non implichi l’universo intero” (da: La scrittura del dio)
Sono molteplici le classificazioni attribuite dalla critica a questo autore: chi ha posto l’accento sul carattere metafisico dei suoi scritti, chi sul suo mondo fantastico governato dalla logica, chi sul suo “umanesimo”, chi sulla distruzione della letteratura moderna da lui operata... Ognuna di esse è allo stesso tempo vera e limitativa, in quanto catalogare una personalità tanto grandiosa, complessa e sfaccettata è praticamente impossibile.
Novello Omero, novello Dante... Borges è Borges, ed è immenso.
Se leggendo “Finzioni” non si può fare a meno di ammirare Borges per l’originalità inventiva e il geniale virtuosismo, leggendo “L’Aleph” si impara ad amarlo incondizionatamente. O almeno a me è successo così.
A chi si accostasse per la prima volta a questo scrittore, consiglierei pertanto di iniziarne la conoscenza da quest’opera, che a mio avviso ne rivela più intensamente ed esaustivamente le eccezionali qualità narrative e il singolarissimo profilo intellettuale.
Ciascuno dei diciassette racconti che compongono la raccolta è un universo a sé stante, perfetto e concluso in sé: un piccolo grande capolavoro. E il loro insieme è qualcosa di unico e irripetibile, che dà vita a un’opera-cardine della letteratura universale, destinata a fissarsi in maniera indelebile nella memoria e nell’esistenza stessa del lettore.
Se si rilegge uno qualunque di questi racconti, poi, ci si accorge che ogni volta si aprono nuovi significati, nuove possibili interpretazioni, nuovi orizzonti e percorsi logici. Come appunto succede per i grandi capolavori dell’arte di ogni tempo.
I temi trattati sono quelli universali – il tempo, il destino, la divinità, il mistero della vita e della la morte; l’amore, l’odio e la solitudine; il dolore, la guerra, la vendetta, l’abisso insondabile della mente umana e la pazzia... – Borges però li sviluppa in maniera del tutto personale, sovrapponendo a evidenti citazioni erudite (da letterati, filosofi, storici, matematici, ecc. del passato) il prodotto della sua sconfinata immaginazione. Fatti e personaggi inventati sono così accostati a quelli reali, risultando spesso più concreti e credibili, o addirittura necessari a meglio interpretare teorie e vicende.
La prosa di Borges, potente e inafferrabile, contribuisce in maniera determinante alla fruizione del racconto, in quanto le descrizioni (di personaggi, animali, architetture, luoghi, gesti...) e la formulazione dei concetti si avvalgono di termini densi, sofisticati e fortemente evocativi, che ad una analisi approfondita suggeriscono all’intelletto e alla creatività del singolo lettore infinite immagini e infinite interpretazioni.
“Considerai che anche nei linguaggi umani non c’è proposizione che non implichi l’universo intero” (da: La scrittura del dio)
Sono molteplici le classificazioni attribuite dalla critica a questo autore: chi ha posto l’accento sul carattere metafisico dei suoi scritti, chi sul suo mondo fantastico governato dalla logica, chi sul suo “umanesimo”, chi sulla distruzione della letteratura moderna da lui operata... Ognuna di esse è allo stesso tempo vera e limitativa, in quanto catalogare una personalità tanto grandiosa, complessa e sfaccettata è praticamente impossibile.
Novello Omero, novello Dante... Borges è Borges, ed è immenso.