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La disobbedienza acquista un senso solo quando diventa una disciplina morale più rigorosa e ardua di quella a cui si ribella (I. Calvino, presentazione del Barone Rampante nell’edizione annotata per le scuole medie, 1965)
Un ragazzo sale sugli alberi dopo un litigio con i genitori e non ne scenderà mai più. Perché? Tutti ci siamo ribellati ai nostri genitori (e a quello che rappresentavano) anche se, per fortuna, pochi hanno dovuto adottare comportamenti così estremi per riuscire ad affermare la propria individualità e autenticità rispetto alle strade già tracciate per noi dalla famiglia, la società, a volte la sfiga o la fortuna, Dio o il Destino (per chi ci crede)
Cosimo invece non aveva molte alternative.
La domanda che mi sono posta sin dalle prime pagine in cui Calvino ci presenta la strampalata famiglia Piovasco di Rondò è: “Come si può esprimere se stessi quando si cresce in una famiglia dove qualsiasi forma di individualità, di volontà, di uscire dagli schemi già precostituiti viene negata? E che dire, poi, se i genitori capitati in sorte sono totalmente assorbiti da se stessi e vivono nel proprio glorioso (o supposto tale) passato?”.
I manuali di psicopatologia dicono che una possibilità (limite, per fortuna) è rappresentata dal disagio mentale. I protagonisti de Il barone rampante hanno preferito adottare comportamenti stravaganti.
Si può dar sfogo alla propria voglia di vivere, ingiustamente imbrigliata, inventando piatti “creativi” a base di lumache o topi, ed è questa la strada che sceglie (se di scelta di può parlare) Battista, la sorella del protagonista. Oppure si può salire sugli alberi e rendersi conto che è l’unica via d’uscita.
All’inizio Cosimo è solo un ragazzo testardo, che non vuole darla vinta al padre e pur di fargli dispetto se ne sta lassù. Improvvisamente, in seguito alla sua ascesa arboricola anche la madre, la Generalessa, amorosa certo ma poco incline ad occuparsi dei figli (come la maggioranza delle nobildonne dell’epoca), si accorge di lui e, attraverso lui, comincia a vivere concretamente le proprie fantasie militari. La madre sarà una sua grande alleata e il figlio ribelle diventerà il suo orgoglio e la sua principale occupazione. Un primo risultato il ragazzo sugli alberi lo ha raggiunto: finalmente si pensa a lui come a una persona dotata di volontà propria che può prendere decisioni autonome. Il fratello minore, la voce narrante del libro, vivrà attraverso Cosimo una vita ricca e avventurosa che non ha il coraggio di vivere in prima persona. Ecco quindi che, grazie a Cosimo, anche un altro membro della famiglia Piovasco di Rondò riesce a varcare gli angusti confini della mentalità paterna. Cosimo rompe l’equilibrio familiare che così si ricostituisce su nuove basi e tutti (o quasi) ne traggono giovamento.
Cosimo però non è molto interessato ad avere l’approvazione di quei genitori con cui ha avuto rapporti abbastanza formali e caratterizzati dallo scontro continuo. Stando sugli alberi scopre che basta staccarsi da terra di qualche metro per acquisire un nuovo punto di vista, più ampio, più variegato. Conosce persone che non avrebbe potuto frequentare rimanendo rinchiuso nella casa paterna: nobili giovinette altezzose, ladri di frutta, briganti appassionati di romanzi d’avventura, nobili spagnoli in esilio, principi, imperatori. Stare sugli alberi non lo limita in nulla: studia, scrive, ama. Non ho dubbi nel ritenerlo una persona felice, anche se con qualche rimpianto. Ma anche chi non sale sugli alberi fa’ le proprie scelte e, a volte, commette errori e allontana da se le persone amate.
L’ammirazione per il protagonista non riesce però a farmi innamorare de Il barone rampante : l’ho trovato in molte parti noioso, poco emozionante. E, per me, questo è proprio grave: un libro mi piace se mi emoziona. Può essere originale, scritto bene (tutte qualità indubbie del romanzo di Calvino) ma se non mi appassiona allora non c’è niente da fare. Certo, è un problema mio: ma sono io che leggo e a me deve piacere, al di là di qualsiasi considerazione letteraria e stilistica.
Un punto debole secondo me è che manca il punto di vista di Cosimo: tutto quello che sappiamo è mediato dalla voce pacata e, almeno in alcuni punti, piatta del fratello. Avrei voluto conoscere i pensieri di Cosimo mentre gradatamente (o forse all’improvviso, ma non lo sapremo mai) si rende conto delle conseguenze della sua decisione. Avrei voluto leggere della meraviglia provata la prima volta che si rende conto che basta alzarsi qualche metro da terra per vedere tutto mutato!
L’unico momento in cui Cosimo appare più trasparente è nella sua relazione con Viola, una situazione che mette a nudo le sue emozioni ma mai i suoi pensieri! E alla fine, quando è chiaro che Viola non tornerà mai più, Cosimo ritorna ad essere “opaco” ai nostri occhi, una scatola nera come nella migliore tradizione comportamentista.
Forse il passo di Cosimo era proprio leggero, di codibugnolo, troppo leggero per lasciare una traccia durevole. Fuggevoli impressioni, sprazzi di vita, e alla fine arrivo a pensare che non è mai davvero passato attraverso il mio cuore, la mia pancia. Solo un ricamo fatto di nulla.
n Ombrosa non c’è più. Guardando il cielo sgombro, mi domando se è davvero esistita. Quel frastaglio di rami e foglie, biforcazioni, lobi, spiumii, minuto e senza fine, e il cielo a sprazzi irregolari e ritagli, forse c’era solo perché ci passasse mio fratello con suo leggero passo di codibugnolo, era un ricamo fatto di nulla che assomiglia a questo filo d’inchiostro, come l’ho lasciato correre per pagine e pagine, zeppo di cancellature, di rimandi, di sgorbi nervosi, di macchie, di lacune, che a momenti si sgrana in grossi acini chiari, a momenti si infittisce in segni minuscoli come semi puntiformi, ora si ritorce su se stesso, ora si biforca, ora collega grumi di frasi con contorni di foglie o di nuvole, e poi si intoppa, e poi ripiglia a attorcigliarsi, e corre e corre e si sdipana e avvolge un ultimo grappolo insensato di parole idee sogni ed è finito. n
Alla fine che valutazione dare a questo libro? Le migliori parole sono quelle dello stesso Calvino:
n Di fatto, per chi vuol trarre una morale dal libro, le vie che restano aperte sono molte, anche se nessuna si può esser certi che sia la giusta.
Quello che possiamo indicare come dato sicuro è un gusto dell’Autore per gli atteggiamenti morali, per l’autocostruzione volontaristica, per la prova umana, per lo stile di vita. E tutto questo tenendosi in bilico su sostegni fragili come rami circondati dal vuoto. n
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Confermo quasi del tutto la recensione che ho scritto dopo la prima lettura anche se non ho trovato così gravi alcune lentezze della narrazione (che effettivamente comunque ci sono), motivo per cui ho alzato la mia valutazione da 3 a 5 stelle.
Calvino riesce a creare personaggi autentici in cui è possibile riconoscersi nonostante siano inseriti in contesti poco familiari o poco realistici; tutti i personaggi hanno pari dignità e tutti sono indispensabili alla narrazione: ho trovato bellissima la figura dello zio avvocato e dell'abate.
Le donne (come ho notato anche ne Il cavaliere inesistente) sono l'elemento dirompente: non solo escono dagli schemi (come quasi tutti i personaggi del resto) ma ne sono del tutto consapevoli, riuscendo inoltre a coniugare pragmatismo e anticonformismo.
Un ragazzo sale sugli alberi dopo un litigio con i genitori e non ne scenderà mai più. Perché? Tutti ci siamo ribellati ai nostri genitori (e a quello che rappresentavano) anche se, per fortuna, pochi hanno dovuto adottare comportamenti così estremi per riuscire ad affermare la propria individualità e autenticità rispetto alle strade già tracciate per noi dalla famiglia, la società, a volte la sfiga o la fortuna, Dio o il Destino (per chi ci crede)
Cosimo invece non aveva molte alternative.
La domanda che mi sono posta sin dalle prime pagine in cui Calvino ci presenta la strampalata famiglia Piovasco di Rondò è: “Come si può esprimere se stessi quando si cresce in una famiglia dove qualsiasi forma di individualità, di volontà, di uscire dagli schemi già precostituiti viene negata? E che dire, poi, se i genitori capitati in sorte sono totalmente assorbiti da se stessi e vivono nel proprio glorioso (o supposto tale) passato?”.
I manuali di psicopatologia dicono che una possibilità (limite, per fortuna) è rappresentata dal disagio mentale. I protagonisti de Il barone rampante hanno preferito adottare comportamenti stravaganti.
Si può dar sfogo alla propria voglia di vivere, ingiustamente imbrigliata, inventando piatti “creativi” a base di lumache o topi, ed è questa la strada che sceglie (se di scelta di può parlare) Battista, la sorella del protagonista. Oppure si può salire sugli alberi e rendersi conto che è l’unica via d’uscita.
All’inizio Cosimo è solo un ragazzo testardo, che non vuole darla vinta al padre e pur di fargli dispetto se ne sta lassù. Improvvisamente, in seguito alla sua ascesa arboricola anche la madre, la Generalessa, amorosa certo ma poco incline ad occuparsi dei figli (come la maggioranza delle nobildonne dell’epoca), si accorge di lui e, attraverso lui, comincia a vivere concretamente le proprie fantasie militari. La madre sarà una sua grande alleata e il figlio ribelle diventerà il suo orgoglio e la sua principale occupazione. Un primo risultato il ragazzo sugli alberi lo ha raggiunto: finalmente si pensa a lui come a una persona dotata di volontà propria che può prendere decisioni autonome. Il fratello minore, la voce narrante del libro, vivrà attraverso Cosimo una vita ricca e avventurosa che non ha il coraggio di vivere in prima persona. Ecco quindi che, grazie a Cosimo, anche un altro membro della famiglia Piovasco di Rondò riesce a varcare gli angusti confini della mentalità paterna. Cosimo rompe l’equilibrio familiare che così si ricostituisce su nuove basi e tutti (o quasi) ne traggono giovamento.
Cosimo però non è molto interessato ad avere l’approvazione di quei genitori con cui ha avuto rapporti abbastanza formali e caratterizzati dallo scontro continuo. Stando sugli alberi scopre che basta staccarsi da terra di qualche metro per acquisire un nuovo punto di vista, più ampio, più variegato. Conosce persone che non avrebbe potuto frequentare rimanendo rinchiuso nella casa paterna: nobili giovinette altezzose, ladri di frutta, briganti appassionati di romanzi d’avventura, nobili spagnoli in esilio, principi, imperatori. Stare sugli alberi non lo limita in nulla: studia, scrive, ama. Non ho dubbi nel ritenerlo una persona felice, anche se con qualche rimpianto. Ma anche chi non sale sugli alberi fa’ le proprie scelte e, a volte, commette errori e allontana da se le persone amate.
L’ammirazione per il protagonista non riesce però a farmi innamorare de Il barone rampante : l’ho trovato in molte parti noioso, poco emozionante. E, per me, questo è proprio grave: un libro mi piace se mi emoziona. Può essere originale, scritto bene (tutte qualità indubbie del romanzo di Calvino) ma se non mi appassiona allora non c’è niente da fare. Certo, è un problema mio: ma sono io che leggo e a me deve piacere, al di là di qualsiasi considerazione letteraria e stilistica.
Un punto debole secondo me è che manca il punto di vista di Cosimo: tutto quello che sappiamo è mediato dalla voce pacata e, almeno in alcuni punti, piatta del fratello. Avrei voluto conoscere i pensieri di Cosimo mentre gradatamente (o forse all’improvviso, ma non lo sapremo mai) si rende conto delle conseguenze della sua decisione. Avrei voluto leggere della meraviglia provata la prima volta che si rende conto che basta alzarsi qualche metro da terra per vedere tutto mutato!
L’unico momento in cui Cosimo appare più trasparente è nella sua relazione con Viola, una situazione che mette a nudo le sue emozioni ma mai i suoi pensieri! E alla fine, quando è chiaro che Viola non tornerà mai più, Cosimo ritorna ad essere “opaco” ai nostri occhi, una scatola nera come nella migliore tradizione comportamentista.
Forse il passo di Cosimo era proprio leggero, di codibugnolo, troppo leggero per lasciare una traccia durevole. Fuggevoli impressioni, sprazzi di vita, e alla fine arrivo a pensare che non è mai davvero passato attraverso il mio cuore, la mia pancia. Solo un ricamo fatto di nulla.
n Ombrosa non c’è più. Guardando il cielo sgombro, mi domando se è davvero esistita. Quel frastaglio di rami e foglie, biforcazioni, lobi, spiumii, minuto e senza fine, e il cielo a sprazzi irregolari e ritagli, forse c’era solo perché ci passasse mio fratello con suo leggero passo di codibugnolo, era un ricamo fatto di nulla che assomiglia a questo filo d’inchiostro, come l’ho lasciato correre per pagine e pagine, zeppo di cancellature, di rimandi, di sgorbi nervosi, di macchie, di lacune, che a momenti si sgrana in grossi acini chiari, a momenti si infittisce in segni minuscoli come semi puntiformi, ora si ritorce su se stesso, ora si biforca, ora collega grumi di frasi con contorni di foglie o di nuvole, e poi si intoppa, e poi ripiglia a attorcigliarsi, e corre e corre e si sdipana e avvolge un ultimo grappolo insensato di parole idee sogni ed è finito. n
Alla fine che valutazione dare a questo libro? Le migliori parole sono quelle dello stesso Calvino:
n Di fatto, per chi vuol trarre una morale dal libro, le vie che restano aperte sono molte, anche se nessuna si può esser certi che sia la giusta.
Quello che possiamo indicare come dato sicuro è un gusto dell’Autore per gli atteggiamenti morali, per l’autocostruzione volontaristica, per la prova umana, per lo stile di vita. E tutto questo tenendosi in bilico su sostegni fragili come rami circondati dal vuoto. n
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Confermo quasi del tutto la recensione che ho scritto dopo la prima lettura anche se non ho trovato così gravi alcune lentezze della narrazione (che effettivamente comunque ci sono), motivo per cui ho alzato la mia valutazione da 3 a 5 stelle.
Calvino riesce a creare personaggi autentici in cui è possibile riconoscersi nonostante siano inseriti in contesti poco familiari o poco realistici; tutti i personaggi hanno pari dignità e tutti sono indispensabili alla narrazione: ho trovato bellissima la figura dello zio avvocato e dell'abate.
Le donne (come ho notato anche ne Il cavaliere inesistente) sono l'elemento dirompente: non solo escono dagli schemi (come quasi tutti i personaggi del resto) ma ne sono del tutto consapevoli, riuscendo inoltre a coniugare pragmatismo e anticonformismo.