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La lettura di “Baumgartner” mi ha fatto venire voglia di rileggere “Trilogia di New York”, il mio primo romanzo di Paul Auster. Anni fa ero rimasta folgorata dal libro. Temevo che la rilettura sarebbe stata meno interessante e, invece, lo è stata ancora di più. “Trilogia di New York” è, senza ombra di dubbio, uno dei libri più geniali, cerebrali e affascinanti che abbia mai letto.
La trilogia è composta da tre storie apparentemente scollegate, tutte ambientate in una New York alienante, labirintica. Le storie si presentano come anti-detective stories, in cui un protagonista deve pedinare qualcuno o cercare una persona scomparsa. Essendo anti-detective stories, i casi non hanno risoluzione e i protagonisti finiscono per smarrirsi nel nulla.
Inutile dire che si tratta di romanzi altamente simbolici (come tutti i romanzi postmodernisti), il cui tema centrale è la complessità e la frammentarietà della società contemporanea - una società che non è più a misura d’uomo.
La conseguenza principale del vivere in tale società è la perdita della propria identità. Tutti i protagonisti delle storie hanno smarrito la propria identità e cercano di ritrovarla inseguendo altre persone; l’investigazione, quindi, è metafora della ricerca del proprio io - una ricerca impossibile, destinata al fallimento. I tre romanzi contengono livelli diversi e sempre più esasperati della perdita della propria identità.
Nel primo, il protagonista, Peter Quinn, è uno scrittore di gialli inizialmente diviso tra tre identità: quella di Quinn persona, quella di Wilson, lo pseudonimo che usa come scrittore, e quella di Work, l’investigatore protagonista dei suoi romanzi. Quando Quinn viene scambiato per un investigatore e riceve l’incarico di pedinare un certo Peter Stillman, la sua identità si frammenta ulteriormente e questo lo porta progressivamente a perdersi.
Nel secondo romanzo, il protagonista, Blue, è un investigatore diviso, inizialmente, tra le tante identità che ha dovuto assumere nel corso di anni di indagini. Quando gli viene chiesto di investigare Black, diventa talmente ossessionato dall’indagine da identificarsi completamente nell’uomo, vedendo in lui il suo doppio.
Nel terzo romanzo, il protagonista, privo di nome, non si limita a cercare un amico scomparso ma si sostituisce addirittura ad esso, pubblicando i suoi romanzi e sposando sua moglie. Qui, quindi, la perdita della propria identità raggiunge il suo apice.
La seconda conseguenza del vivere in una società complessa e frammentata è il fatto che le parole non sono più in grado di rappresentare appieno la realtà. Tutti e tre i romanzi contengono riferimenti al linguaggio e ai suoi limiti.
Nel primo romanzo, un personaggio di nome Peter Stillman tenta un esperimento sul figlio per appropriarsi del linguaggio originale, antecedente al peccato capitale - un esperimento fallimentare. Anni dopo, Stillman continua la ricerca cercando di inventare un nuovo linguaggio, in cui le parole cambiano a seconda delle funzioni che hanno gli oggetti a cui si riferiscono. Anche questo esperimento fallisce, spingendo l’uomo a interrompere le proprie ricerche.
Nel secondo romanzo, Blue si rende conto che le parole non sono sufficienti a descrivere in modo esaustivo ciò che osserva e ha sempre maggiore difficoltà nello stilare i report relativi all’investigazione.
Nel terzo romanzo, infine, il narratore legge il taccuino dell’amico Fanshawe sperando di capire le scelte dell’uomo, ma trova le parole incomprensibili.
In un mondo il cui il linguaggio non è più in grado di descrivere la realtà, lo scrittore perde importanza - diventando un semplice mediatore tra il mondo dei personaggi e il mondo reale - e il lettore assume, per contro, una funzione rilevante: quella di interpretare ciò che legge, attraverso gli indizi disseminati dallo scrittore. Ecco perchè “Trilogia di New York” risulta complesso ed enigmatico: sta al lettore interpretare e completare il lavoro iniziato da Paul Auster.
Ma “Trilogia di New York” non è solo un libro sulla società contemporanea. È anche un libro metaletterario che riflette sul potere dell’immaginazione, sul processo creativo della stesura di romanzi e sulla vita di uno scrittore.
Le storie che compongono il libro hanno un’ambientazione volutamente irreale, in quanto specchio della mente dell’autore. Tutti i protagonisti sono ossessionati dall’indagine che è stata loro affidata e si concentrano talmente su di essa da dimenticare di vivere la propria vita; questo non è altro che metafora della vita di uno scrittore, che deve immedesimarsi così tanto nelle vite dei propri personaggi da trascurare la propria. Le trame della trilogia, inoltre, presentano continui rovesciamenti di ruolo, con scrittori che diventano personaggi e viceversa. Tutto questo è metafora del rapporto che lega uno scrittore ai suoi personaggi. Un autore, infatti, non ha pieno controllo sui personaggi, in quanto il processo creativo di un romanzo spesso muta in corso d’opera. Nella trilogia ci si trova di fronte, quindi, a situazioni paradossali, in cui i personaggi seguono o sorvegliano il proprio scrittore o in cui un autore riesce a comunicare con i suoi personaggi solo attraverso una porta - simbolo della distanza incolmabile tra i due.
Ci sarebbe tanto altro da dire (ad esempio, sui collegamenti con “Don Chisciotte” e “Walden” e sui collegamenti con la fede e il peccato originale), ma mi fermo qui.
So bene che si tratta di un libro faticoso da leggere, che va diluito e assimilato nel tempo. Ma penso che lo sforzo vaga assolutamente la pena. Basandomi su quanto ho letto finora, Paul Auster ha scritto degli ottimi romanzi (come “4321”), dei romanzi nella media (come “Baumgartner” e “Mr. Vertigo”) e un capolavoro: “Trilogia di New York”.
La trilogia è composta da tre storie apparentemente scollegate, tutte ambientate in una New York alienante, labirintica. Le storie si presentano come anti-detective stories, in cui un protagonista deve pedinare qualcuno o cercare una persona scomparsa. Essendo anti-detective stories, i casi non hanno risoluzione e i protagonisti finiscono per smarrirsi nel nulla.
Inutile dire che si tratta di romanzi altamente simbolici (come tutti i romanzi postmodernisti), il cui tema centrale è la complessità e la frammentarietà della società contemporanea - una società che non è più a misura d’uomo.
La conseguenza principale del vivere in tale società è la perdita della propria identità. Tutti i protagonisti delle storie hanno smarrito la propria identità e cercano di ritrovarla inseguendo altre persone; l’investigazione, quindi, è metafora della ricerca del proprio io - una ricerca impossibile, destinata al fallimento. I tre romanzi contengono livelli diversi e sempre più esasperati della perdita della propria identità.
Nel primo, il protagonista, Peter Quinn, è uno scrittore di gialli inizialmente diviso tra tre identità: quella di Quinn persona, quella di Wilson, lo pseudonimo che usa come scrittore, e quella di Work, l’investigatore protagonista dei suoi romanzi. Quando Quinn viene scambiato per un investigatore e riceve l’incarico di pedinare un certo Peter Stillman, la sua identità si frammenta ulteriormente e questo lo porta progressivamente a perdersi.
Nel secondo romanzo, il protagonista, Blue, è un investigatore diviso, inizialmente, tra le tante identità che ha dovuto assumere nel corso di anni di indagini. Quando gli viene chiesto di investigare Black, diventa talmente ossessionato dall’indagine da identificarsi completamente nell’uomo, vedendo in lui il suo doppio.
Nel terzo romanzo, il protagonista, privo di nome, non si limita a cercare un amico scomparso ma si sostituisce addirittura ad esso, pubblicando i suoi romanzi e sposando sua moglie. Qui, quindi, la perdita della propria identità raggiunge il suo apice.
La seconda conseguenza del vivere in una società complessa e frammentata è il fatto che le parole non sono più in grado di rappresentare appieno la realtà. Tutti e tre i romanzi contengono riferimenti al linguaggio e ai suoi limiti.
Nel primo romanzo, un personaggio di nome Peter Stillman tenta un esperimento sul figlio per appropriarsi del linguaggio originale, antecedente al peccato capitale - un esperimento fallimentare. Anni dopo, Stillman continua la ricerca cercando di inventare un nuovo linguaggio, in cui le parole cambiano a seconda delle funzioni che hanno gli oggetti a cui si riferiscono. Anche questo esperimento fallisce, spingendo l’uomo a interrompere le proprie ricerche.
Nel secondo romanzo, Blue si rende conto che le parole non sono sufficienti a descrivere in modo esaustivo ciò che osserva e ha sempre maggiore difficoltà nello stilare i report relativi all’investigazione.
Nel terzo romanzo, infine, il narratore legge il taccuino dell’amico Fanshawe sperando di capire le scelte dell’uomo, ma trova le parole incomprensibili.
In un mondo il cui il linguaggio non è più in grado di descrivere la realtà, lo scrittore perde importanza - diventando un semplice mediatore tra il mondo dei personaggi e il mondo reale - e il lettore assume, per contro, una funzione rilevante: quella di interpretare ciò che legge, attraverso gli indizi disseminati dallo scrittore. Ecco perchè “Trilogia di New York” risulta complesso ed enigmatico: sta al lettore interpretare e completare il lavoro iniziato da Paul Auster.
Ma “Trilogia di New York” non è solo un libro sulla società contemporanea. È anche un libro metaletterario che riflette sul potere dell’immaginazione, sul processo creativo della stesura di romanzi e sulla vita di uno scrittore.
Le storie che compongono il libro hanno un’ambientazione volutamente irreale, in quanto specchio della mente dell’autore. Tutti i protagonisti sono ossessionati dall’indagine che è stata loro affidata e si concentrano talmente su di essa da dimenticare di vivere la propria vita; questo non è altro che metafora della vita di uno scrittore, che deve immedesimarsi così tanto nelle vite dei propri personaggi da trascurare la propria. Le trame della trilogia, inoltre, presentano continui rovesciamenti di ruolo, con scrittori che diventano personaggi e viceversa. Tutto questo è metafora del rapporto che lega uno scrittore ai suoi personaggi. Un autore, infatti, non ha pieno controllo sui personaggi, in quanto il processo creativo di un romanzo spesso muta in corso d’opera. Nella trilogia ci si trova di fronte, quindi, a situazioni paradossali, in cui i personaggi seguono o sorvegliano il proprio scrittore o in cui un autore riesce a comunicare con i suoi personaggi solo attraverso una porta - simbolo della distanza incolmabile tra i due.
Ci sarebbe tanto altro da dire (ad esempio, sui collegamenti con “Don Chisciotte” e “Walden” e sui collegamenti con la fede e il peccato originale), ma mi fermo qui.
So bene che si tratta di un libro faticoso da leggere, che va diluito e assimilato nel tempo. Ma penso che lo sforzo vaga assolutamente la pena. Basandomi su quanto ho letto finora, Paul Auster ha scritto degli ottimi romanzi (come “4321”), dei romanzi nella media (come “Baumgartner” e “Mr. Vertigo”) e un capolavoro: “Trilogia di New York”.