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Faussoneron
Esempio anomalo di "letteratura del lavoro" (suppongo esista, come genere, ed esista un canone da cui Levi si discosta), una serie di esperienze narrate dall'epico Faussone, summa di personaggi realmente incontrati dall'Autore, a un alter ego dello stesso scrittore. Racconti principalmente incentrati su lavori effettuati in giro per il mondo, nello specifico montaggi di derrick, gru, piattaforme petrolifere, Mortinere... armati della spada del moderno cavaliere, la chiave a stella. L'epica dell'assemblaggio non mi fa impazzire, sarà per naturale rigetto verso il mondo-Ikea o forse per scarsa manualità (ma con i Lego me la cavavo): ciò che è interessante è la tipologia di lavoratore incarnata da Faussone. Non il lavoratore da linea di montaggio, e neppure l'artigiano che si assume i rischi d'impresa, ma il soggetto altamente specializzato, richiesto in ogni angolo del mondo, con possibilità di organizzare il suo lavoro entro determinati limiti. Soprattutto, il lavoratore sostanzialmente felice e realizzato grazie al suo lavoro, come sottolinea una riflessione dell'interlocutore/Levi (che probabilmente sarà stato oggetto di grandi contestazioni per queste parole):
o anche
Io, non godendo di questo privilegio, concordo appieno. Ma forse si tratta più di una speranza che di una certezza granitica.
[per qualche ragione, gli unici esempi di working-lit che mi vengono in mente al momento sono usciti dalla penna di Steinbeck - hai detto poco! -, come La battaglia, ma lì si trattava più che altro di difesa/conquista dei diritti dei lavoratori, in effetti]
Esempio anomalo di "letteratura del lavoro" (suppongo esista, come genere, ed esista un canone da cui Levi si discosta), una serie di esperienze narrate dall'epico Faussone, summa di personaggi realmente incontrati dall'Autore, a un alter ego dello stesso scrittore. Racconti principalmente incentrati su lavori effettuati in giro per il mondo, nello specifico montaggi di derrick, gru, piattaforme petrolifere, Mortinere... armati della spada del moderno cavaliere, la chiave a stella. L'epica dell'assemblaggio non mi fa impazzire, sarà per naturale rigetto verso il mondo-Ikea o forse per scarsa manualità (ma con i Lego me la cavavo): ciò che è interessante è la tipologia di lavoratore incarnata da Faussone. Non il lavoratore da linea di montaggio, e neppure l'artigiano che si assume i rischi d'impresa, ma il soggetto altamente specializzato, richiesto in ogni angolo del mondo, con possibilità di organizzare il suo lavoro entro determinati limiti. Soprattutto, il lavoratore sostanzialmente felice e realizzato grazie al suo lavoro, come sottolinea una riflessione dell'interlocutore/Levi (che probabilmente sarà stato oggetto di grandi contestazioni per queste parole):
n Se si escludono istanti prodigiosi e singoli che il destino ci può donare, l'amare il proprio lavoro (che purtroppo è privilegio di pochi) costituisce la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra: ma questa è una verità che non molti conoscono.n
o anche
n Nell'ascoltare Faussone, si andava coagulando dentro di me un abbozzo di ipotesi, che non ho ulteriormente elaborato e che sottopongo qui al lettore: il termine «libertà» ha notoriamente molti sensi, ma forse il tipo di libertà più accessibile, più goduto soggettivamente, e più utile al consorzio umano, coincide con l'essere competenti nel proprio lavoro, e quindi nel provare piacere a svolgerlo.n
Io, non godendo di questo privilegio, concordo appieno. Ma forse si tratta più di una speranza che di una certezza granitica.
[per qualche ragione, gli unici esempi di working-lit che mi vengono in mente al momento sono usciti dalla penna di Steinbeck - hai detto poco! -, come La battaglia, ma lì si trattava più che altro di difesa/conquista dei diritti dei lavoratori, in effetti]