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Racconta, e si racconta, Libertino Faussone che il padre voleva chiamare Libero, ma nel ventennio il segretario comunale aveva storto il naso… Figlio di un “battilatta” morto con il martello in mano, operaio alla Lancia, poi montatore in giro per il mondo. La chiave a stella come una spada per il cavaliere, a vent’anni faceva il brillante e lo spericolato sul primo traliccio per far colpo sulla ragazza, poi è diventato logico, preciso, meticoloso, nulla al caso. Incontra lo scrittore da qualche parte lungo il Volga, entrambi lì per impegni lavorativi, lui dietro all’ennesima installazione e l’altro, che è anche chimico, per una noiosa questione di vernici. Ne nasce una sorta di amicizia e Faussone racconta a suo modo, e non ce ne sono altri, le sue avventure lavorative dall’Alaska all’India, al medio oriente, all’Italia del sud, luoghi che rimangono nel vago perché ha un suo segreto professionale da rispettare. Derrick, ponti, tralicci, torri di metallo… Faussone ha il comando in quanto più esperto e poi via a studiare il montaggio, issare putrelle, tirare cavi… alla fine il successo che porta a piangere di gioia e a brindare tutti insieme ma può capitare anche il disastro quando gli ingegneri e i progettisti sbagliano i calcoli (e i rimpalli di responsabilità durano anni). Faussone ha una sua etica del lavoro che gli da le soddisfazioni della vita, un homo faber sostenitore della meritocrazia delle competenze ma è anche piemontese, piemontesissimo (con quel cognome…) e qui emerge il lato più ironico, sottolineato dall’uso di espressioni e modi di dire derivanti dal dialetto (essere nelle curve, balengo, muoversi sulla stessa piastrella…) e dalla sua vita privata. Già perché tra un giro di chiave e l’altro parla di due zie, “una furba e una mica tanto furba” che vivono a Torino e gli presentano delle ragazze – brave ragazze simili a statue di cera uscite da un educandato – ma lui niente, non c’è dialogo, dopo qualche giorno che è a Torino vuole ripartire, è un po' testa quadra, con le sue esigenze ormai superata la quarantina…Conoscevo Primo Levi solo per le sue opere sull’olocausto e mi incuriosiva questo romanzo (vincitore anche di un premio Strega) su argomenti molto diversi. Un romanzo sul mondo industriale che mi ha piacevolmente sorpreso con un pizzico di ironia (che non mi aspettavo) a far da contrappeso alle lunghe disquisizioni tecniche di Faussone nel raccontare i montaggi, che anche se dichiara di raccontarla semplice, per i non avvezzi quell’insieme di cavi, torsioni, pulegge, travi, scorrimenti, dischi ha certo un suo fascino ma anche potrebbe un poco annoiare. E invece no! E, preso dall’entusiasmo, quattro stelle.