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April 17,2025
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Racconta, e si racconta, Libertino Faussone che il padre voleva chiamare Libero, ma nel ventennio il segretario comunale aveva storto il naso… Figlio di un “battilatta” morto con il martello in mano, operaio alla Lancia, poi montatore in giro per il mondo. La chiave a stella come una spada per il cavaliere, a vent’anni faceva il brillante e lo spericolato sul primo traliccio per far colpo sulla ragazza, poi è diventato logico, preciso, meticoloso, nulla al caso. Incontra lo scrittore da qualche parte lungo il Volga, entrambi lì per impegni lavorativi, lui dietro all’ennesima installazione e l’altro, che è anche chimico, per una noiosa questione di vernici. Ne nasce una sorta di amicizia e Faussone racconta a suo modo, e non ce ne sono altri, le sue avventure lavorative dall’Alaska all’India, al medio oriente, all’Italia del sud, luoghi che rimangono nel vago perché ha un suo segreto professionale da rispettare. Derrick, ponti, tralicci, torri di metallo… Faussone ha il comando in quanto più esperto e poi via a studiare il montaggio, issare putrelle, tirare cavi… alla fine il successo che porta a piangere di gioia e a brindare tutti insieme ma può capitare anche il disastro quando gli ingegneri e i progettisti sbagliano i calcoli (e i rimpalli di responsabilità durano anni). Faussone ha una sua etica del lavoro che gli da le soddisfazioni della vita, un homo faber sostenitore della meritocrazia delle competenze ma è anche piemontese, piemontesissimo (con quel cognome…) e qui emerge il lato più ironico, sottolineato dall’uso di espressioni e modi di dire derivanti dal dialetto (essere nelle curve, balengo, muoversi sulla stessa piastrella…) e dalla sua vita privata. Già perché tra un giro di chiave e l’altro parla di due zie, “una furba e una mica tanto furba” che vivono a Torino e gli presentano delle ragazze – brave ragazze simili a statue di cera uscite da un educandato – ma lui niente, non c’è dialogo, dopo qualche giorno che è a Torino vuole ripartire, è un po' testa quadra, con le sue esigenze ormai superata la quarantina…Conoscevo Primo Levi solo per le sue opere sull’olocausto e mi incuriosiva questo romanzo (vincitore anche di un premio Strega) su argomenti molto diversi. Un romanzo sul mondo industriale che mi ha piacevolmente sorpreso con un pizzico di ironia (che non mi aspettavo) a far da contrappeso alle lunghe disquisizioni tecniche di Faussone nel raccontare i montaggi, che anche se dichiara di raccontarla semplice, per i non avvezzi quell’insieme di cavi, torsioni, pulegge, travi, scorrimenti, dischi ha certo un suo fascino ma anche potrebbe un poco annoiare. E invece no! E, preso dall’entusiasmo, quattro stelle.
April 17,2025
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"The Wrench" is a selection of anecdotes told by Faussone - a rigger - to the narrator - a chemist - whilst thrown together waiting in the dining hall of a foreign factory. Despite these two characters seeming poles apart, they actually have more in common than at first appearance: basically, problem solving work in terms of construction - one in metal, the other in molecules. Most of the book is taken with Faussone's reminisces and whilst entertaining, I did begin to wonder where the point might lie. Then the chemist relates a problem of his own and somehow Levi manages to fascinate by the sudden connections between the two characters and suddenly the book becomes compelling. It's a very subtle under-narrative which manages to elevate these otherwise simple tales of workmanship. I enjoyed it a lot.
April 17,2025
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I love unprovoked passion in human beings. Faussone embodies it. What may seem mundane to most is where he flourishes. Primo Levi makes his point about doing something meaningful with both your hands and your brain. Oftentimes I get so caught up in the abstract world inside my mind that I fail to realize that much of the mental/emotional discord I experience could be resolved by doing something with my hands. Faussone's character perfectly blends the mind/body dichotomy, which works seamlessly because of the passion he naturally feels for the niche he has found. Of course, Levi's work is idealistic, but it is still something attainable and one for which we should all strive.
April 17,2025
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Una rivelazione. Non riesco a trovare un altro termine per descrivere la sensazione che questo libro mi ha suscitato. Un inno disincantato e laico al lavoro. Il lavoro come realizzazione umana, che non significa (o almeno non solo) realizzazione sociale, ma realizzazione delle proprie aspirazioni e aspettative, e soddisfazione per l’essere stati in grado di raggiungere un obiettivo. Il narratore dialoga con Faussone, uno è chimico e l’altro montatore di gru e strutture metalliche. Tecnicamente nulla di più distante. Ma man mano che le pagine avanzano, le analogie sono molte di più delle differenze. Perché il lavoro descritto da Levi non è il lavoro alienato e alienante. E’ il lavoro che richiede mani e cervello, che pretende attenzione, che richiede confronti (con colleghi o clienti, a volte competenti a volte no, a volte onesti a volte banditi). Il lavoro di Levi e il lavoro di Faussone hanno in comune la necessità di risolvere problemi, a volte reali a volte percepiti da qualcuno. E risolvere problemi è molto simile, sia che tu produca colori sia che tu costruisca ponteggi. Simile è anche la soddisfazione quando al termine – se sei stato bravo - tutto si risolve bene.
Questo libro racconta queste cose, racconta probabilmente anche il lavoro di tante donne e uomini di oggi, e lo fa con attenzione e ironia, e con quello strano miscuglio di modestia e orgoglio che solo i piemontesi sanno distillare.
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