Community Reviews

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April 26,2025
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Чрезвычайно неловко ставить всего 3 звезды роману, который называют вершиной русского творчества автора. "Дар" - очень сложный, а его текст такой витьеватый, что без путеводителя в нем легко потеряться. Думаю, при перечитывании он окажется более понятным и доступным. Вероятно, я сделаю это лет через 5. А на данный момент "Дар" - самый не понятый мною роман автора, который я не смогла полюбить и прочувствовать. Да, в нем однозначно было много прекрасного, но по большей части во время чтения я скучала и страдала.
April 26,2025
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It must be among the most beautiful novels Nabokov wrote.

I took a few weeks to read it, and it was not an easy or light read at that, but it is a sublimely beautiful example of modernist fiction. It was difficult partially because of how allusive it is to earlier Russian literture. The novel has little in the way of a plot, very little actually happens, but the author makes something beautiful out of it.

It's an underappreciated novel of Nabokov's, at least among Anglophone readers, which could be attributed to how it evokes the works of other Russian authors heavily. Gogol and Pushkin's works are referenced all over the place, and that can make it a little challenging if one hasn't read either of those authors extensively.

If one is a fan of Nabokov and has not yet read this, this novel ought to be looked at; if one is a fan of Russian literature of the 19th century, then this should be looked at, because as Nabokov gives homages to Gogol and Pushkin, but then his writing becomes his own, quite distinct, Nabokovian form. Few authors describe such simplicity with paradisal beauty as Nabokov does in 'The Gift'.
April 26,2025
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Questo libro è rimasto in attesa quasi due anni sul mio scaffale, nonostante Nabokov sia da sempre uno dei miei autori preferiti. È rimasto in attesa soprattutto perché da più parti mi veniva indicato come un librone di quelli difficili e che, senza un'adeguata conoscenza della letteratura russa, difficilmente avrei capito tutte le allusioni che l'autore vi aveva inserito. Allora io, in questi due anni, mi sono preparato attentamente, leggendo i miei Tolstoj, i miei Dostoevskij, i miei Gogol', ho scavato nella (sempre troppo poca) letteratura russa tradotta in italiano, con la speranza di capire almeno una buona parte dei riferimenti di Nabokov. Ecco, è servito a ben poco. A fine libro, quando ho letto il saggio in cui Serena Vitale racconta a suo modo "Il dono", ho capito di non aver riconosciuto un buon 80% delle allusioni che Nabokov ha inserito in questo suo librone.

Detto questo, ora che probabilmente avrò scoraggiato tutti coloro che vorrebbero leggere "Il dono" di Nabokov e che dalla loro non hanno mai neanche aperto "Guerra e pace", posso aggiungere che non importa. Alla fine il libro di Nabokov è comunque godibile, anche se non si riconoscono tutte le allusioni alla cultura russa. Nabokov, nel suo trasformismo che lo porta a scrivere romanzi sempre molto distanti fra loro — tanto come forma, quanto come contenuto —, si lancia in un racconto che a tratti pare molto autobiografico: un emigrato russo nella Berlino degli anni venti affronta la perdita del suo Paese con l'amore per la letteratura (e una passione per i lepidotteri). Ma il libro è a sua volta un contenitore, una scatola in cui tanti racconti si incastrano fra di loro, un labirinto che, giunti al finale, ci riporta esattamente lì da dove eravamo partiti.

La maestria di Nabokov viene qui tutta allo scoperto, tanto che mi è parso in certi momenti che due romanzi fondamentalmente avessero "influenzato" l'idea di Nabokov. Il primo è l'Ulisse di Joyce, il secondo La Recherche di Proust. L'Ulisse perché la struttura de "Il dono" è potenzialmente simile: ci troviamo alle prese con un protagonista i cui pensieri e azioni sono in primo piano, e tutto ciò che lo circonda viene visto dai suoi occhi e al tempo stesso è il protagonista che cerca di modificarlo. La Recherche perché anche in Nabokov è l'idea del libro stesso ad essere alla base del libro che stiamo leggendo: protagonista e scrittore si mescolano fra loro, e al lettore non resta che capire in questo "sistema a più livelli", in queste scatole che racchiudono al loro interno altre scatole, dove finisce una storia e dove inizia l'altra. Entrambi, Ulisse e Recherche, hanno poi la stessa caratteristica de "Il dono" di divagare avanti e indietro nel tempo, di riesumare vicende passate su cui il protagonista rimugina e che pian piano presenta al lettore. Ma Nabokov ha uno stile tutto suo (più stili tutti suoi, a voler essere corretti): "Il dono" non è un flusso di coscienza e non è un testo con frasi descrittive lunghe cinque pagine. La personificazione degli oggetti, la ricerca spasmodica del termine più rappresentativo, l'uso della lingua in maniera maniacale, fanno di Nabokov uno scrittore che con la singola frase è capace di lasciare il segno nel lettore.

"Il dono" ha però anche un difetto, ed è una pesantezza eccessiva, soprattutto lì dove i riferimenti alla letteratura russa iniziano a diventare fondamentali. Leggere questo libro, che nel primo centinaio di pagine sembra essere decisamente scorrevole, si rivela pagina dopo pagina sempre più pesante, tanto che arrivati ai due terzi del libro vi sembrerà di aver scalato una montagna a mani nude.

Detto questo, sicuramente non è il libro giusto per chi Nabokov non l'ha mai letto né per chi non ha una minima conoscenza della letteratura russa. Tutti gli altri, anche senza per forza sapere chi è Cernysevskij (ma almeno Puskin, quello sì), potranno provare ad affrontare questo mattone, sapendo già in partenza che richiederà un bel po' di fatica e di costanza. Per me rimane comunque il solito Nabokov, quello de "Un mondo sinistro" piuttosto che di "Lolita", l'emigrato russo che, alla maniera di un Dovlatov o di uno Sklovskij, rimpiange con calore la fredda Russia.
April 26,2025
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The Gift by Vladimir Nabokov

This one was... uh... idk?

Being the last work written in Russian, The Gift felt like an embodiment of Nabokov's prose at that period. The ultimate edition, serving--as rightfully noted by many--like a farewell, closing one large variative epoch. I'd go even further and declare it Nabokov's most Russian work. The Gift deals a great lot with Russian literature, be it the classic works or the critics' reviews. The central part is, undoubtedly, the Life of Chernyshevsky, taking the place of an entire chapter--the biggest in the entire book--representing Nabokov's views on the said figure, listed in the most brutal way. Poor fellow, reading that part as a student of the university named after Chernyshevsky, surely was a weird experience.

It's not a novel per se, rather a collection of elaborated scenes dealing with Fyodor's (the protagonist) life of the past and current. He talks about the childhood and his father, imagines potential reviews on the recently published compilation of poems, presents his love line hidden in the shades of secrecy, and contemplates upon the work, the review on which you're getting through right at this very moment.

I don't mind such works. There are times when a detached expressionism is better than a basic story. I see the soul of the writer being poured in every meticulous detour he made on the way, in any weird yet beautiful combination of the words he so thoroughly put together. Making a book like this was a tedious work, Nabokov definitely had fun doing. And despite seeing and understanding that, I cannot appreciate it enough. I can't perceive such a reading as a rewarding experience and not a chore to deal with. It's one of the reasons I don't view n   Lolitan as high as many do. I can't help but feel Nabokov went so hard in trying to be "unique" he overdid it. The prose turned into a lengthy flex, aimed to show his writing skills. Yes, I get it--you can assemble an amazing wording, telling the reader more than an entire sentence. But for the love of God, would you please shut up for a minute?

It's a good book, on which I can't decide whether I like it or not. As for recommending it, I think I would say "Yes." You should give it a try. Because despite it all, The Gift is a great work. It may be complex, it may be wordy, but it's definitely the one Nabokov spend lots of time making.
April 26,2025
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Inchìnati al dio immaginario, onora ciò che entra senza porte dalla periferia del sogno, il raro, il dono che la plebe manda a morte.

Un libro talvolta richiede molta fatica, quella che mi ci è voluta per superare l’estenuante quarto capitolo: una feroce parodia che il protagonista Fedor Konstantinovic scrive sul poeta rivoluzionario Cernysevskij, tanto osannato da Lenin.
Nabokov si immaginava che io non avessi una approfondita conoscenza della letteratura russa. Secondo me quindi esplode in altre pagine tutta la bellezza di questo romanzo con una struttura circolare, incentrato sull’assenza del padre e sulla nostalgia della patria, sull’aspirazione a colmare questi vuoti e su un destino che, benevolo per una volta tanto, decide giocosamente di dare a due giovani più di una possibilità di incontrarsi nella Berlino degli anni Venti.

Ho trovato la bellezza nelle parole con cui viene descritta la storia tra Fedor e Zina e nel modo con cui Nabokov ci rivela – per gradi, dopo una serie di allusioni - qual è la ragazza di Fedor, tra i personaggi che di sfuggita abbiamo precedentemente già conosciuto.
Agli appuntamenti segreti, di sera, lei avanzava a piccoli passi, la punta di un piede contro il tallone dell’altro, come se camminasse su una fune.
Poiché gli sembrava assolutamente impossibile avere una parte qualsiasi nella sua anima e nella sua vita, soffriva quando scopriva in lei qualcosa di particolarmente incantevole, e provava un gioioso sollievo quando invece trovava qualche imperfezione nella sua bellezza.


La bellezza sta nelle cose. La pioggia diventò diluvio e spazzò l’asfalto, che ora sembrava cosparso di piccole candele saltellanti.

Fedor, per diventare un bravo scrittore, aspira alla molteplicità di livelli di pensiero, in modo da entrare nella testa delle persone che conosce, come nel caso degli ultimi attimi di vita di un altro esule russo, Aleksandr.

“Che stupidaggini. Ma certo, dopo non c’è nulla.” Sospirò, stette per un attimo ad ascoltare il gocciolio e il tamburellio fuori dalla finestra e poi ripeté con estrema chiarezza: “Non c’è nulla. E’ chiaro come il fatto che sta piovendo”. E fuori, intanto, il sole primaverile giocava sulle tegole dei tetti, il cielo era pensieroso e sgombro di nubi, e l’inquilina del piano di sopra innaffiava le piante del balcone, e l’acqua giocciolava tamburellando.

Ironia che ritorna, mescolata al dolore, anche nelle precedenti descrizioni dei grotteschi incontri culturali degli esuli russi, a casa di Alexandr. Da poco gli è morto il figlio Jasa, suicida. Da allora non si è più ripreso, vede ancora il fantasma del figlio, un fantasma che può essere più reale di questi inconsistenti esuli. Come succede al momento dei saluti.

E a questo punto tutti cominciarono pian piano a impallidire, a ondeggiare nel moto involontario delle masse di nebbia, a dissolversi; i loro contorni assumevano le linee sinuose di un 8 e poi si scioglievano nell’aria, ma qua e là brillavano ancora dei puntini luminosi: una scintilla di cordialità in un occhio, il luccichio di un braccialetto; dopo di che tutto scomparve, e nel salotto pieno di fumo, immerso in un silenzio totale, entrò Jasa, con le pantofole ai piedi, convinto che il padre fosse già andato a letto; alla luce di rosse lanterne, intanto, invisibili folletti riparavano con magici suoni la nera pavimentazione all’angolo della piazza.
April 26,2025
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Третья книга в читательском клубе. И в очередной раз моя первая книга автора. В этот раз - Набокова.
Когда я первый раз услышал, что это "метароман" о написании романа, что в нем перекликаются реально существовавшие личности с придуманными персонажами - я подумал, что это будет, как минимум, непростое чтение.
Оказывается - нет. Колкие комментарии, постоянный диалог с читателем, и особый "набоковский" язык не дают оторваться от книги.
Для полноценного получения контекста всё же я рекомендую ознакомиться с "Что делать?" Чернышевского. (читать полностью не нужно, это мерзейшество уровня "Атланта" Рэнд), статьей на polka.academy и книгой Александра Долинина с комментариями к роману "Дар".
April 26,2025
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“At first the superposition of a thingummy on a thingabob and the pale, palpitating stripe that went upwards were utterly incomprehensible, like words in a forgotten language or the parts of a dismantled engine - and this senseless tangle sent a shiver of panic running through him: I have woken up in the grave, on the moon, in the dungeon of dingy non-being. But something in his brain turned, his thoughts settled and hastened to paint over the truth - and he realized that he was looking at the curtain of a half-open window, at a table in front of the window. such is the treaty with reason - the theatre of earthly habit, the livery of temporary substance. He lowered his head onto the pillow and tried to overtake a fugitive sense warm, wonderful, all-explaining - but the new dream he dreamt was an uninspired compilation, stitched together out of remnants of daytime life and fitted to it.”

REVIEW: I don’t even know where to begin. Claimed to be his most difficult novel; it’s about a despondent young (fictitious) author who writes a book about a (very real) author. That’s it. And the text is tiny and the writing complex. Theres a LOOONG chapter where we read the written biography; the point is, I think, that it’s meant to be impenetrable. Lots of imagined memories and conversation; lost fathers and butterflies. (Nabokov was a talented lepidopterists
April 26,2025
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abandoned at 68%, probably to distracted to appreciate all the subtle nuances.
April 26,2025
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L'INCANTO SEGRETO DELLE PAROLE

“La definizione è per sua natura finita, è limite e confine, mentre io voglio il lontano, […] cerco l'infinità in cui tutto, tutto si riunisce.”

“Un vero scrittore dovrebbe infischiarsene di tutti i lettori salvo uno: il lettore futuro.”

Che bella sorpresa, quale inatteso regalo è stato per me leggere “Il dono”, il cui titolo mi è parso retrospettivamente quanto mai appropriato e allusivo! “Il dono” è un'opera straordinariamente eclettica, dalle mille, proteiformi, facce: è un romanzo parzialmente autobiografico (dal momento che il protagonista, checché ne dica l'autore, condivide con esso svariate esperienze di vita – l'esilio a Berlino, l'essere rimasto orfano del padre – e altrettante intime peculiarità – ad esempio, l'amore per l'entomologia e il gioco degli scacchi), una satira sul mondo degli intellettuali russi emigrati all'estero dopo la Rivoluzione, un'invettiva venata di beffardo sarcasmo contro il bolscevismo, ma anche – e soprattutto – un magnifico libro sulla nostalgia: per la madrepatria (una nostalgia “che si è attaccata come argentea sabbia di mare alla suola delle scarpe, che vive negli occhi, nel sangue, che dà spessore e profondità allo sfondo di ogni speranza”), per il padre scomparso (un uomo che conosceva “due o tre cose che nessun altro sapeva”), per la letteratura del passato, con i grandi scrittori russi (Puskin in primis) a fare da esigenti muse ispiratrici. Banalmente, si potrebbe riassumere “Il dono” come la storia di Fedor Konstantinovic Godunov-Cerdyncev, che si barcamena come meglio può tra le ristrettezze economiche di un esiliato (squallide camere in affitto, lavoretti saltuari di traduzione, pochi spiccioli in tasca) e le aspirazioni artistiche di un letterato non disposto a scendere a compromessi con la prosaica realtà che lo circonda (siamo nella Germania pre-nazista degli anni '20, “questo paese opprimente come un'emicrania”, dove ”la famosa bonomia tedesca con tanta facilità e naturalezza può divenire in qualsiasi momento rabbioso ululato”). Ma “Il dono” è molto più complesso e articolato di quello che una succinta epitome potrebbe mai lasciare intuire. In fondo quello che si legge nelle quasi cinquecento pagine del libro è la lenta, progressiva maturazione in Fedor Konstantinovic della decisione di scrivere il libro stesso che abbiamo davanti agli occhi, è quindi il processo creativo di un'opera raccontata – se così si può dire – nel suo farsi (non a caso “Il dono” si apre con il protagonista che, assistendo a un trasloco nel quartiere dove abita, commenta: “Sarebbe un buon inizio per un bel romanzo lungo, di quelli che si scrivevano una volta”). Ci troviamo di fronte a un testo dalla forte impronta meta-letteraria, quasi sperimentale, pur nella classicità di uno stile meno barocco e pirotecnico di quello a cui Nabokov abituerà il lettore durante il periodo americano (ma non manca anche qui qualche singolare fuoco d'artificio verbale, come quando, guardando un'insegna colorata in cui le lettere luminose si accendono una alla volta, obliquamente, come su una scala, Fedor Konstantinovic immagina quale parola potrebbe mai raggiungere il cielo, e così facendo inventa un caleidoscopico neologismo, “adamantinopalebanocramarantaranciaccesolivastrazzurroltremarindaco-baltavorio”). La struttura de “Il dono” è particolarmente elaborata e composita, anche se a prima vista non sembrerebbe. Al suo interno, come in un gioco di scatole cinesi, c'è un capitolo (la “Storia di Cernysevskij” scritta da Fedor Konstantinovic) che è un romanzo all'interno del romanzo. Inoltre il libro sul padre – che la madre del protagonista lo incita a scrivere ma che egli non si sente all'altezza di realizzare – è in fondo contenuto subliminalmente nella lunga digressione del secondo capitolo, interamente dedicata all'adorato genitore e dove egli immagina di partecipare ad uno dei suoi avventurosi ed esotici viaggi scientifici (Nabokov si diverte cioè a fare il prestigiatore, svelando con una mano ciò che fa finta di nascondere con l'altra). C'è poi una curiosa commistione tra fantasia e realtà, se si pensa che il quarto capitolo (quello dedicato alla “velenosa” biografia di Cernysevskij) è stato a lungo censurato, e di conseguenza espunto dalle varie edizioni che si sono succedute fino a quella definitiva del 1952, allo stesso modo in cui nella finzione narrativa esso viene rifiutato dalla casa editrice di Vasilev.
Di arditi paradossi e di sorprendenti mises en abyme è pieno il capolavoro nabokoviano, ma quello che da esso maggiormente traspare è l'amore smisurato per la letteratura, sia quella del passato, con ispiratissime citazioni e rimandi culturali che purtroppo non sono facilmente comprensibili dal lettore occidentale (che conosce sì Puskin, Turgenev, Gogol e Lermontov, ma che ignora probabilmente chi siano Belyi, Bunin o Esenin e mai immaginerebbe che il “Che fare?” di Cernysevskij sia stato al centro di una accesa disputa ideologica tra i fautori dell'arte per l'arte e quelli dell'arte materialista e rivoluzionaria – va da sé che Nabokov, il quale con il suo protagonista giudica “Che fare?” “un riassunto da scolaro, un'infantile valutazione delle più ardue questioni morali”, si colloca tra i primi), sia quella che Fedor Konstantinovic, assecondando la sua impellente vocazione, cerca di creare in ogni ora delle sue giornate. Egli è letteralmente imbevuto di arte e vive costantemente in funzione della poesia, guardando ad ogni evento anche minimo della sua esistenza, ad ogni successione casuale di fatti, come a uno spunto potenziale da conservare e da riportare nelle sue strofe. Il mondo per lui è un'entità da assorbire e riplasmare in continuazione, al solo fine di ricavarne l'ispirazione per i suoi versi. Si potrebbe pensare che egli viva la vita solo in maniera indiretta, un po' come quei fotografi che non riescono più a vedere le cose con i loro occhi, ma solo attraverso l'obiettivo della loro macchina fotografica. In realtà la sua ambizione è nientemeno che quella di ricreare il suo passato, di restituirne intatte e con l'originaria vividezza la più sottili sfumature, le più impalpabili nuances. Come il suo omologo borgesiano Funes, ma con ben diversa consapevolezza (là dove c'era la sofferta impossibilità di sopportare una mole smisurata di ricordi, qua c'è l'esaltazione “per il barattolo di latta su un terreno vago, per la figurina di un pacchetto di sigarette calpestata nel fango, per la povera parola colta al volo, ripetuta da una persona buona, debole, amorosa, che è stata appena rimproverata senza motivo, – per tutto il pattume della vita che [...] si trasforma in qualcosa di prezioso e eterno”), Fedor Konstantinovic fruga come un rabdomante nella sua memoria per ritornare al paradiso perduto della sua infanzia. Egli arriva in tal modo a rompere le barriere del tempo: si immerge in maniera talmente profonda nei lontani ricordi del passato che al lettore sembra di stare passeggiando con lui nel parco della sua villa avita (con tanto di minuziose osservazioni sulle pozzanghere del selciato o sui riflessi della luce che trapela dagli alberi), quando invece all'improvviso un brusco richiamo della realtà sgretola le immagini ricostruite fedelmente dalla memoria per farlo ripiombare nel mediocre presente berlinese; oppure, con un procedimento specularmente contrario, riesce con inaudita intensità di forme e colori a trasfigurare uno squallido vicolo della capitale tedesca nel piazzale della villa russa di un tempo, davanti alla quale la famiglia sta in posa come nella fotografia ingiallita che egli conserva gelosamente nella sua stanza. Il protagonista de “Il dono”, come Proust, è alla continua ricerca del tempo perduto (è solo un caso che il suo libretto di liriche si apra con una poesia su un pallone perduto e si chiuda con una poesia su un pallone ritrovato?), ma mentre per lo scrittore francese il tempo resuscita come per un involontario miracolo dalle lontananze del passato, quello del poeta nabokoviano è un recupero frutto di un indefesso e ostinato sforzo di volontà teso a non far svanire le impressioni di una volta e restituirle nella maniera più fedele possibile nei versi delle sue composizioni. Con analoga abnegazione Fedor Konstantinovic si dedica al compito di trasfigurare la realtà, cercando di decifrare il suo codice segreto (“le cuciture e gli squarci del giorno primaverile, le scabrosità dell'aria, i ruvidi fili di suoni confusi che si incrociavano a casaccio – non era altro che il rovescio di un tessuto magnifico sul cui diritto si andavano formando e un po' per volta prendevano vita immagini a lui invisibili”).
E' impossibile non voler bene a Fedor Konstantinovic, personaggio che pur non amando troppo mescolarsi agli altri e pur conscio della sua superiorità intellettuale, non manifesta mai superbia o alterigia. Certo, egli, nonostante la sensibilità cui cerca di improntare la sua vita, soffre di umanissime debolezze, prova invidia per l'affermato collega Konceev (con il quale riesce solamente con l'immaginazione, in due diverse circostanze, a intavolare un appassionato dialogo filosofico tra anime elette) così come gelosia nei confronti del precedente fidanzato di Zina, la ragazza, figlia dei suoi locatori, di cui è innamorato. Ma Fedor Konstantinovic ha anche una grande dignità, e quando Vasilev respinge il suo manoscritto avvisandolo che tutti gli volteranno le spalle, egli risponde con una frase memorabile: “Io ho un debole per le nuche”. Nabokov si diverte a metterlo in situazioni scabrose: per ben due volte perde le chiavi e rimane chiuso la notte fuori di casa, quando d'estate si reca al parco per prendere un po' di frescura gli vengono rubati i vestiti ed è costretto a rientrare vestito del solo costume da bagno. Ma Fedor Konstantinovic affronta queste prove, così come la precarietà abitativa o l'indigenza, con una encomiabile fierezza, quasi come se l'arte, grazie alla quale cerca di conquistare un suo spazio nel mondo (e una improbabile immortalità tra i posteri), fosse una protezione sufficiente a fargli superare qualsiasi delusione e qualunque difficoltà, mettendolo al riparo dalle tempeste dell'angoscia e del dubbio. In lui si esprime un incondizionato e, trattandosi di Nabokov, anche parzialmente inaspettato, amore per la vita (“come è intelligente, com'è squisitamente maliziosa ed essenzialmente buona la vita!”), un fiducioso abbandono alle sfide del destino. Tutto “Il dono” è pervaso di ottimismo e di vitalità: dello stesso Puskin, morto come si sa in giovane età in seguito alle ferite subite in un duello, si dice “come desiderava vivere!”. Mi piace pertanto terminare la recensione di questo libro, capace di offrire un sofisticato e raffinatissimo godimento intellettuale ai lettori più esigenti, proprio con una poesia di Puskin, citata da Fedor Konstantinovic.
Oh no, la vita non mi tedia:
io amo vivere, mi piace.
Ignoro il gelo dell'accidia
anche se il cuore vuole pace.
Al sole mi riscalderò
di genio e di bellezza.
April 26,2025
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Будто крем-брюле объелся.
Вроде и изыскано, и приятно, и ещё хочется, а ком у горла стоит, и блевать тянет.
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