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Se vedi immondizia dappertutto, è perché è davvero dappertutto.
3 ottobre 1951, Polo Grounds di New York: alla fine di un’epica partita di baseball i Giants sembrano ormai spacciati quando Bobby Thomson colpisce la palla della vittoria, mandandola dritta in tribuna dove verrà recuperata da un ragazzino nero di Harlem, Cotter Martin.
Ma quella palla non rimarrà a lungo in suo possesso, è anzi destinata a passare di mano in mano, attraverso i decenni, spettatore insolito e silenzioso della grande storia d’America, dalla guerra fredda al crollo dell’URSS, dalle dive di Hollywood alla crisi di Cuba.
Colossale. Ecco come descriverei quello che viene unanimamente riconosciuto come il capolavoro di Don DeLillo. E aggiungo densissimo, analitico e prolisso. Parentesi ed ellissi che si aprono una dietro l’altra. Una narrazione non-lineare che procede a ritroso nel tempo, nello stile squisitamente post-moderno.
Ma già dalle prime 60 pagine tutte focalizzate sulla leggendaria partita di baseball, the shot heard round the world, capiamo di star assistendo a un campionato di letteratura unico e molto esclusivo.
Seguendo il percorso della mitica palla assistiamo alla partita dei Giants contro i Dodgers del 1951, al grande blackout di NY nel 1965, ai primi esperimenti atomici russi, alla crisi missilistica di Cuba e molto altro.
Incontriamo personaggi storici come il direttore dell’FBI J. Edgar Hoover, i giocatori di baseball Thomson e Branca, il comico Lenny Bruce. Inseriti alla perfezione in una cornice letteraria sempre verosimile, diventano parte del grande poema dondelilliano.
I titoli dei capitoli poi sono essi stessi omaggi a opere letterarie e musicali, ma anche a spot pubblicitari del tempo.
Come ci si aspetterebbe dall’opera più matura di questo autore, i temi virano dal complottismo all’ossessione per lo sport, dal consumismo all’isteria mediatica, dalla pop art alla paura della morte e c’è tanta, tantissima spazzatura.
È un’America sporca, puzzolente, sommersa dai rifiuti e popolata da gente gretta e disillusa, dove un serial killer finisce per essere ripreso in un filmato amatoriale di una bambina durante un viaggio in auto e rimandato a video in loop.
È un’America da mondo sotterraneo, claustrofobica e allucinata, così disperata da non poter far altro che affidarsi alle glorie del passato, ai ricordi intrisi di simbolismo, come la magia di una partita di baseball che ha stupito tutto il Paese.
Ci viene detto fin da subito che la palla da baseball protagonista di questa storia non porta né fortuna né sfortuna, ma spinge chi la possiede a raccontare storie.
Starà poi a DeLillo intrecciarle e fonderle in un romanzo sontuoso, carico, da rileggere e rileggere e comunque mai capire fino in fondo.
Una lettura sfidante, spesso non facile, ma che regala grandi soddisfazioni.
3 ottobre 1951, Polo Grounds di New York: alla fine di un’epica partita di baseball i Giants sembrano ormai spacciati quando Bobby Thomson colpisce la palla della vittoria, mandandola dritta in tribuna dove verrà recuperata da un ragazzino nero di Harlem, Cotter Martin.
Ma quella palla non rimarrà a lungo in suo possesso, è anzi destinata a passare di mano in mano, attraverso i decenni, spettatore insolito e silenzioso della grande storia d’America, dalla guerra fredda al crollo dell’URSS, dalle dive di Hollywood alla crisi di Cuba.
Colossale. Ecco come descriverei quello che viene unanimamente riconosciuto come il capolavoro di Don DeLillo. E aggiungo densissimo, analitico e prolisso. Parentesi ed ellissi che si aprono una dietro l’altra. Una narrazione non-lineare che procede a ritroso nel tempo, nello stile squisitamente post-moderno.
Ma già dalle prime 60 pagine tutte focalizzate sulla leggendaria partita di baseball, the shot heard round the world, capiamo di star assistendo a un campionato di letteratura unico e molto esclusivo.
Seguendo il percorso della mitica palla assistiamo alla partita dei Giants contro i Dodgers del 1951, al grande blackout di NY nel 1965, ai primi esperimenti atomici russi, alla crisi missilistica di Cuba e molto altro.
Incontriamo personaggi storici come il direttore dell’FBI J. Edgar Hoover, i giocatori di baseball Thomson e Branca, il comico Lenny Bruce. Inseriti alla perfezione in una cornice letteraria sempre verosimile, diventano parte del grande poema dondelilliano.
I titoli dei capitoli poi sono essi stessi omaggi a opere letterarie e musicali, ma anche a spot pubblicitari del tempo.
Come ci si aspetterebbe dall’opera più matura di questo autore, i temi virano dal complottismo all’ossessione per lo sport, dal consumismo all’isteria mediatica, dalla pop art alla paura della morte e c’è tanta, tantissima spazzatura.
È un’America sporca, puzzolente, sommersa dai rifiuti e popolata da gente gretta e disillusa, dove un serial killer finisce per essere ripreso in un filmato amatoriale di una bambina durante un viaggio in auto e rimandato a video in loop.
È un’America da mondo sotterraneo, claustrofobica e allucinata, così disperata da non poter far altro che affidarsi alle glorie del passato, ai ricordi intrisi di simbolismo, come la magia di una partita di baseball che ha stupito tutto il Paese.
Ci viene detto fin da subito che la palla da baseball protagonista di questa storia non porta né fortuna né sfortuna, ma spinge chi la possiede a raccontare storie.
Starà poi a DeLillo intrecciarle e fonderle in un romanzo sontuoso, carico, da rileggere e rileggere e comunque mai capire fino in fondo.
Una lettura sfidante, spesso non facile, ma che regala grandi soddisfazioni.