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“Quali sono le parole giuste per riassumere una vita, tanta affollata confusa felicità che si conclude con un atroce dolore al rallentatore?” si domanda il narratore del romanzo. La Oates le ha trovate alla grande le parole, il fatto è che, secondo me, ha esagerato.
Un romanzo fiume, di circa 500 pagine, che inizia con la descrizione di una famiglia americana perfetta, i Mulvaney, una moglie e madre vivace ed allegra, un marito ambizioso e quattro splendidi figli, più una miriade di animali che vivono con loro nella fattoria color lilla nella campagna americana, a Mount Ephraim. Una famiglia benedetta da Dio, per alcuni, stucchevole per altri. Fino a quando la “affollata confusa felicità”non viene interrotta da “una cosa” che accade alla bella figlia adolescente, Marianne detta Germoglio nella notte di San Valentino del 1976. “Le famiglie sono così, a volte. Qualcosa va per il verso sbagliato e nessuno sa come rimediare e gli anni passano e … nessuno sa come rimediare.” Tutto va a rotoli, nessuno si salva e nessuna empatia scatta per alcuno dei protagonisti: sono tutti vittime di una cosa più grande di loro? Sono una famiglia perfetta solo all’apparenza ma in realtà sono tutti degli individui spietati e immaturi –per primi i genitori- incapaci di comunicare, incapaci di reagire al dolore che li dilania? Allora c’è che comincia a bere, chi scappa, chi si arruola nei marines, chi si camuffa per non vedersi più come era prima: ognuno si difende come può, in modo scomposto, distruggendo sé stesso e la famiglia.
Joyce Carol Oates ci descrive dettagliatamente i meccanismi che scattano in ciascuno dei Mulvaney in seguito all’incidente, ed è la parte più riuscita del romanzo, sebbene, come ho detto, sia troppo minuziosa fino all’eccesso. Il finale poi mi ha spiazzato, non ci ero preparata, visto quanto accaduto prima. E comunque non mi ha convinto.
Le stelle sono quattro, ma la Oates è pesante.
Un romanzo fiume, di circa 500 pagine, che inizia con la descrizione di una famiglia americana perfetta, i Mulvaney, una moglie e madre vivace ed allegra, un marito ambizioso e quattro splendidi figli, più una miriade di animali che vivono con loro nella fattoria color lilla nella campagna americana, a Mount Ephraim. Una famiglia benedetta da Dio, per alcuni, stucchevole per altri. Fino a quando la “affollata confusa felicità”non viene interrotta da “una cosa” che accade alla bella figlia adolescente, Marianne detta Germoglio nella notte di San Valentino del 1976. “Le famiglie sono così, a volte. Qualcosa va per il verso sbagliato e nessuno sa come rimediare e gli anni passano e … nessuno sa come rimediare.” Tutto va a rotoli, nessuno si salva e nessuna empatia scatta per alcuno dei protagonisti: sono tutti vittime di una cosa più grande di loro? Sono una famiglia perfetta solo all’apparenza ma in realtà sono tutti degli individui spietati e immaturi –per primi i genitori- incapaci di comunicare, incapaci di reagire al dolore che li dilania? Allora c’è che comincia a bere, chi scappa, chi si arruola nei marines, chi si camuffa per non vedersi più come era prima: ognuno si difende come può, in modo scomposto, distruggendo sé stesso e la famiglia.
Joyce Carol Oates ci descrive dettagliatamente i meccanismi che scattano in ciascuno dei Mulvaney in seguito all’incidente, ed è la parte più riuscita del romanzo, sebbene, come ho detto, sia troppo minuziosa fino all’eccesso. Il finale poi mi ha spiazzato, non ci ero preparata, visto quanto accaduto prima. E comunque non mi ha convinto.
Le stelle sono quattro, ma la Oates è pesante.