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Questo è uno di quei libri che mi fanno rimpiangere più che mai di non aver posseduto quella padronanza della lingua inglese che mi avrebbe consentito la lettura del testo originale.
In pochi giorni ne ho lette tre traduzioni (Capriolo, Di Biagi e Persichelli), continuando a confrontare le pagine scritte da Conrad con quelle in italiano. E sì che per Conrad l’inglese era la terza lingua, che iniziò a parlare solo da adulto. E sì che in fondo lui non aveva portato a termine gli studi ed era stato, per oltre metà della sua vita, un girovago uomo di mare; insomma tante cose è stato Conrad, tranne quello che viene definito un “letterato”. Di conseguenza potrebbe non spiegarsi la frustrazione che ho avvertito per essermi dovuta “accontentare” delle traduzioni in italiano del libro. Conrad è un grande condensatore della scrittura ed è riuscito in questo racconto, con un uso preciso, reiterato e spesso simbolico dei termini, a realizzare grandemente quella che lui stesso definisce la funzione della parola: qualcosa che “fa vedere, udire e sentire” il lettore. Un vero peccato quindi non poter leggere quelle precise parole.
La grandezza di Conrad, come molti commenti (Rosenkalvalier, sigurd, per esempio) ben evidenziano, è quella di saper raccontare altro rispetto a quello che si legge. È quella di aver scritto un romanzo di “avventura”, in cui l’avventura è sì il viaggio geografico lungo il Congo, nel cuore oscuro dell’Africa colonizzata, rapinata e massacrata dall’uomo bianco, ma è soprattuto il viaggio dentro l’uomo adulto nell’età moderna e nel senso della sua esistenza in una dimensione laica (qui l’ho sentito proprio come punto di rottura rispetto alla visione ottocentesca alla Dostoevskji o alla Tolstoj e anticipante la letteratura successiva). Conrad tesse così un racconto sulla condizione umana, un viaggio dentro le tenebre del cuore dell’uomo, un viaggio nel quale fortissima ed efficace è l’immagine della giungla che si richiude alle spalle del battello a vapore, quale metafora del punto di non ritorno.
“Gli ampi tratti di fiume ci si aprivano davanti e si richiudevano dietro di noi, come se la foresta si fosse spinta con calma attraverso l'acqua per sbarrarci la strada del ritorno. Penetrammo sempre più profondamente nel cuore di tenebra.”
Il senso del libro è tutto nella fine, nelle ultime pagine del racconto, quando tutto ciò che è stato scritto, anche i dettagli minuti, riemerge e assume un significato e una coerenza sorprendenti.
Leggerò anche Giovinezza e Al limite estremo, i due romanzi che con Cuore di tenebra completano il viaggio di Conrad nelle tre età dell’uomo.
In pochi giorni ne ho lette tre traduzioni (Capriolo, Di Biagi e Persichelli), continuando a confrontare le pagine scritte da Conrad con quelle in italiano. E sì che per Conrad l’inglese era la terza lingua, che iniziò a parlare solo da adulto. E sì che in fondo lui non aveva portato a termine gli studi ed era stato, per oltre metà della sua vita, un girovago uomo di mare; insomma tante cose è stato Conrad, tranne quello che viene definito un “letterato”. Di conseguenza potrebbe non spiegarsi la frustrazione che ho avvertito per essermi dovuta “accontentare” delle traduzioni in italiano del libro. Conrad è un grande condensatore della scrittura ed è riuscito in questo racconto, con un uso preciso, reiterato e spesso simbolico dei termini, a realizzare grandemente quella che lui stesso definisce la funzione della parola: qualcosa che “fa vedere, udire e sentire” il lettore. Un vero peccato quindi non poter leggere quelle precise parole.
La grandezza di Conrad, come molti commenti (Rosenkalvalier, sigurd, per esempio) ben evidenziano, è quella di saper raccontare altro rispetto a quello che si legge. È quella di aver scritto un romanzo di “avventura”, in cui l’avventura è sì il viaggio geografico lungo il Congo, nel cuore oscuro dell’Africa colonizzata, rapinata e massacrata dall’uomo bianco, ma è soprattuto il viaggio dentro l’uomo adulto nell’età moderna e nel senso della sua esistenza in una dimensione laica (qui l’ho sentito proprio come punto di rottura rispetto alla visione ottocentesca alla Dostoevskji o alla Tolstoj e anticipante la letteratura successiva). Conrad tesse così un racconto sulla condizione umana, un viaggio dentro le tenebre del cuore dell’uomo, un viaggio nel quale fortissima ed efficace è l’immagine della giungla che si richiude alle spalle del battello a vapore, quale metafora del punto di non ritorno.
“Gli ampi tratti di fiume ci si aprivano davanti e si richiudevano dietro di noi, come se la foresta si fosse spinta con calma attraverso l'acqua per sbarrarci la strada del ritorno. Penetrammo sempre più profondamente nel cuore di tenebra.”
Il senso del libro è tutto nella fine, nelle ultime pagine del racconto, quando tutto ciò che è stato scritto, anche i dettagli minuti, riemerge e assume un significato e una coerenza sorprendenti.
Leggerò anche Giovinezza e Al limite estremo, i due romanzi che con Cuore di tenebra completano il viaggio di Conrad nelle tre età dell’uomo.