...
Show More
Sylvia è una creatura demoniaca. Impari a odiarla come fosse naturale, come è facile compatire qualcuno.
Provi pietà per la voce narrante per poi iniziare a detestare anche lei: perché non lascia Sylvia?
Non puoi fare a meno di farti questa domanda mentre ti logori per lui, per quest’uomo solo al mondo. Lui cerca di convincersi di non dipendere da Sylvia.
-Non voglio amarla più. Troppo difficile. Non ce la faccio.-
Fallisce miseramente in questo intento non appena il pensiero di perderla si fa vivido nella sua mente.
Per metà del romanzo sono stata lì a chiedermi chi o cosa mi ricordasse il romanzo stesso e poi, come se Michaels volesse esaudire questo mio desiderio, nominando un regista, sbroglia nella mia mente quei fili aggrovigliati che acquisiscono un senso.
Sylvia ha infatti il sapore amaro de La notte di Antonioni; Sylvia è anche un po’ il Moravia de La provinciale; Sylvia è in Simenon, ne La finestra dei Rouet; Sylvia è contenuta in Ti ho sposato per allegria, oppure in Amore mio aiutami con Monica Vitti. Ci ho visto dentro anche l’infelicità pervicace di Revolutionary Road mista alle pellicole di Fellini e i suoi intellettuali sfiniti dalla loro esistenza vuota.
Sono borghesi annichiliti, insoddisfatti che sviluppano nevrosi vivendo nel loro reale innaturale, incarnando il decadentismo borghese del 1900.
Solo la voce narrante sembra, sporadicamente, prendere contatto con la realtà:
-Non sapevo che eravamo perduti.-
Oltre la trama logorante, quello che più ho apprezzato è il modo dell’autore di parlare dei personaggi.
Quando comincia la descrizione di Agatha (per altro personaggio minore) sentiamo il suo spirito.
-Il castigo pareva averle conferito una compostezza silenziosa, spirituale. Un vero e proprio look. Semplice e puro e santo, a anche sexy. Ma era proprio il look di Agatha non l’invenzione di un creatore di moda. Agatha al naturale, l’aspetto della sua anima, il suo essere vero e basilare. Ogni nesso con il suo vecchio se e con il mondo materiale del lusso e della depravazione era stato reciso. Sembrava in buona forma e anche una buona persona.-
Leonard Michaels è poesia, è ansia, angoscia e agonia.
Provi pietà per la voce narrante per poi iniziare a detestare anche lei: perché non lascia Sylvia?
Non puoi fare a meno di farti questa domanda mentre ti logori per lui, per quest’uomo solo al mondo. Lui cerca di convincersi di non dipendere da Sylvia.
-Non voglio amarla più. Troppo difficile. Non ce la faccio.-
Fallisce miseramente in questo intento non appena il pensiero di perderla si fa vivido nella sua mente.
Per metà del romanzo sono stata lì a chiedermi chi o cosa mi ricordasse il romanzo stesso e poi, come se Michaels volesse esaudire questo mio desiderio, nominando un regista, sbroglia nella mia mente quei fili aggrovigliati che acquisiscono un senso.
Sylvia ha infatti il sapore amaro de La notte di Antonioni; Sylvia è anche un po’ il Moravia de La provinciale; Sylvia è in Simenon, ne La finestra dei Rouet; Sylvia è contenuta in Ti ho sposato per allegria, oppure in Amore mio aiutami con Monica Vitti. Ci ho visto dentro anche l’infelicità pervicace di Revolutionary Road mista alle pellicole di Fellini e i suoi intellettuali sfiniti dalla loro esistenza vuota.
Sono borghesi annichiliti, insoddisfatti che sviluppano nevrosi vivendo nel loro reale innaturale, incarnando il decadentismo borghese del 1900.
Solo la voce narrante sembra, sporadicamente, prendere contatto con la realtà:
-Non sapevo che eravamo perduti.-
Oltre la trama logorante, quello che più ho apprezzato è il modo dell’autore di parlare dei personaggi.
Quando comincia la descrizione di Agatha (per altro personaggio minore) sentiamo il suo spirito.
-Il castigo pareva averle conferito una compostezza silenziosa, spirituale. Un vero e proprio look. Semplice e puro e santo, a anche sexy. Ma era proprio il look di Agatha non l’invenzione di un creatore di moda. Agatha al naturale, l’aspetto della sua anima, il suo essere vero e basilare. Ogni nesso con il suo vecchio se e con il mondo materiale del lusso e della depravazione era stato reciso. Sembrava in buona forma e anche una buona persona.-
Leonard Michaels è poesia, è ansia, angoscia e agonia.