...
Show More
” l'organizzarsi è già, in un certo qual modo, cominciare ad avere occhi “
In una città qualunque, in un paese qualunque, si diffonde uno strano morbo della cecità.
Strano nel suo propagarsi poiché non si capisce in che modo avvenga il contagio.
Strano nella sua essenza poiché, se la privazione di vista è nella norma assenza di luce, qui avviene l’esatto contrario: tutto è bianco.
“Il cieco aveva affermato categoricamente di vedere, sempre facendo salvo il verbo, un colore bianco uniforme, denso, come se si trovasse immerso a occhi aperti in un mare di latte. “
I personaggi principali che Saramago muove su questa scena apocalittica sono privati di nomi propri perché l’espediente serve ad innescare un piano metaletterario che annulla l’importanza dell’identità singola.
Ciò che è necessario sapere sono le reazioni, i comportamenti e le conseguenze che derivano da una privazione.
Basterà un elemento distintivo, dunque, per qualificarli: il primo cieco, il ladro, il vecchio dalla benda nera, il ragazzino strabico, la ragazza dagli occhiali scuri, il medico, la moglie del medico…
Tutti tranne una sola persona dovranno subire questa condanna e chi conserverà la vista non sarà certo la persona più fortunata dal momento che dovrà vedere il degrado fatto di oscenità, sozzure e violenza che metteranno l’uomo contro l’uomo nella dura lotta per la sopravvivenza:
”(…) tu non sai cosa sia vedere due ciechi che lottano.
Lottare è sempre stata, più o meno, una forma di cecità, Qui è diverso, Fai pure ciò che ti sembra meglio, ma non dimenticarti di quello che siamo, ciechi, semplicemente ciechi, ciechi senza retoriche né commiserazioni, il mondo caritatevole e pittoresco dei poveri ciechi è finito, adesso è il regno duro, crudele e implacabile dei ciechi, Se tu potessi vedere cosa sono costretta a vedere io, desidereresti essere cieco…”
Non ci risparmia nulla Saramago in questo terrificante viaggio nell’animo umano fatto di tanti egoismi che sovrastano, di una cattiveria che non sembra avere limiti.
Non c’è buio ma un biancore che acceca annullando la capacità di convivere civilmente.
Io non credo che l’intento sia stato di dipingere in modo pessimistico l’umanità ma la semplice realtà perché quello che ci insegna la storia nei secoli è che la malvagità domina partendo da infimi comportamenti quotidiani e irradiandosi nelle guerre che hanno seminato morte con una perfida ciclicità (“Un ciclo siamo macellati. Un ciclo siamo macellai. Un ciclo riempiamo gli arsenali, Un ciclo riempiamo i granai” cantavano i CCCP).
Quello che Saramago ha, tuttavia, messo in risalto è che avere coscienza reale del male che ci circonda è sì doloroso ma solo dal “vedere” può nascere la forza della resistenza e la possibilità del cambiamento perché l’idea di un mondo migliore non appartenga più solo al mondo della retorica e dell’utopia fine a se stessa.
”Perché siamo diventati ciechi, Non lo so, forse un giorno si arriverà a conoscerne la ragione, Vuoi che ti dica cosa penso?
Parla.
Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo. Ciechi che vedono, Ciechi che, pur vedendo, non vedono.”
In una città qualunque, in un paese qualunque, si diffonde uno strano morbo della cecità.
Strano nel suo propagarsi poiché non si capisce in che modo avvenga il contagio.
Strano nella sua essenza poiché, se la privazione di vista è nella norma assenza di luce, qui avviene l’esatto contrario: tutto è bianco.
“Il cieco aveva affermato categoricamente di vedere, sempre facendo salvo il verbo, un colore bianco uniforme, denso, come se si trovasse immerso a occhi aperti in un mare di latte. “
I personaggi principali che Saramago muove su questa scena apocalittica sono privati di nomi propri perché l’espediente serve ad innescare un piano metaletterario che annulla l’importanza dell’identità singola.
Ciò che è necessario sapere sono le reazioni, i comportamenti e le conseguenze che derivano da una privazione.
Basterà un elemento distintivo, dunque, per qualificarli: il primo cieco, il ladro, il vecchio dalla benda nera, il ragazzino strabico, la ragazza dagli occhiali scuri, il medico, la moglie del medico…
Tutti tranne una sola persona dovranno subire questa condanna e chi conserverà la vista non sarà certo la persona più fortunata dal momento che dovrà vedere il degrado fatto di oscenità, sozzure e violenza che metteranno l’uomo contro l’uomo nella dura lotta per la sopravvivenza:
”(…) tu non sai cosa sia vedere due ciechi che lottano.
Lottare è sempre stata, più o meno, una forma di cecità, Qui è diverso, Fai pure ciò che ti sembra meglio, ma non dimenticarti di quello che siamo, ciechi, semplicemente ciechi, ciechi senza retoriche né commiserazioni, il mondo caritatevole e pittoresco dei poveri ciechi è finito, adesso è il regno duro, crudele e implacabile dei ciechi, Se tu potessi vedere cosa sono costretta a vedere io, desidereresti essere cieco…”
Non ci risparmia nulla Saramago in questo terrificante viaggio nell’animo umano fatto di tanti egoismi che sovrastano, di una cattiveria che non sembra avere limiti.
Non c’è buio ma un biancore che acceca annullando la capacità di convivere civilmente.
Io non credo che l’intento sia stato di dipingere in modo pessimistico l’umanità ma la semplice realtà perché quello che ci insegna la storia nei secoli è che la malvagità domina partendo da infimi comportamenti quotidiani e irradiandosi nelle guerre che hanno seminato morte con una perfida ciclicità (“Un ciclo siamo macellati. Un ciclo siamo macellai. Un ciclo riempiamo gli arsenali, Un ciclo riempiamo i granai” cantavano i CCCP).
Quello che Saramago ha, tuttavia, messo in risalto è che avere coscienza reale del male che ci circonda è sì doloroso ma solo dal “vedere” può nascere la forza della resistenza e la possibilità del cambiamento perché l’idea di un mondo migliore non appartenga più solo al mondo della retorica e dell’utopia fine a se stessa.
”Perché siamo diventati ciechi, Non lo so, forse un giorno si arriverà a conoscerne la ragione, Vuoi che ti dica cosa penso?
Parla.
Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo. Ciechi che vedono, Ciechi che, pur vedendo, non vedono.”