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Un'autobiografia della coraggiosissima modella somala che fece la pastorella per la sua famiglia, appartenente a una tribù nomade del deserto - tanto che Waris non sa neanche di preciso in che giorno è nata - fino a tredici anni e poi fuggì quando il padre decise di farla sposare con un uomo anziano in cambio di cinque cammelli. Pur essendo molto credente in Allah, Waris (il cui nome significa appunto Fiore del deserto, da cui il titolo del libro) lotta contro la mutilazione genitale femminile, che non è certo prescritta dal Corano (né dalla Bibbia), ma è una "legge" promossa e mantenuta dagli uomini – maschi egoisti e ignoranti – che vogliono assicurarsi la fedeltà sessuale delle loro donne e pretendono siano mutilate. Le madri accettano di sottoporre le figlie a questa pratica per paura che non trovino marito. Una donna non mutilata è considerata meritevole di disprezzo e quindi non riuscirebbe a sposarsi.
Le scene in cui si parla della mutilazione e dell'infibulazione sono terrificanti. Waris ha tantissimi problemi proprio a causa di un'infibulazione troppo "chiusa", che le dà problemi nella minzione e la fa soffrire atrocemente durante le mestruazioni.
La mutilazione genitale femminile è particolarmente diffusa in ventotto paesi africani. L’ONU ritiene che questa pratica abbia riguardato complessivamente 130 milioni di donne e ragazze. Più di due milioni sono le ragazze che ogni anno rischiano di esservi sottoposte: circa 6000 donne ogni giorno. Tale operazione viene solitamente eseguita in modo primitivo, da una levatrice o da un’altra donna del villaggio, senza anestetici. Le vittime vengono mutilate con utensili d’uso comune – quali lame di rasoio, coltelli, forbici – o, peggio, con schegge di vetro, pietre appuntite e persino a morsi. Questa pratica assume caratteri di maggiore o minore gravità secondo i luoghi, le tradizioni e le culture: il danno meno grave è rappresentato dall’asportazione della parte superiore del clitoride, che preclude alle donne la possibilità di godere delle gioie del sesso per tutta la vita; l’estremo opposto è invece l’infibulazione, che in Somalia viene praticata sull’ottanta per cento delle donne. Ed è proprio a questa che io sono stata sottoposta. Le conseguenze dell’infibulazione comprendono complicazioni immediate – trauma, infezioni, danni all’uretra e all’ano, difficoltà di cicatrizzazione, tetano, infezioni alla vescica, setticemia, HIV ed epatite B – e complicazioni a lungo termine – frequenti infezioni urinarie e pelviche che possono causare sterilità, cisti e ascessi attorno alla vulva, neuromi dolorosi, crescenti difficoltà a urinare, dismenorrea, ristagno del sangue mestruale a livello addominale, frigidità, depressione e morte.
Se penso che quest’anno due milioni di ragazze subiranno quello che ho subito io, mi sento male e mi rendo conto che quanto più questa tortura andrà avanti, tante più saranno le donne come me, furiose e ferite, che non potranno mai più riavere ciò che è stato loro tolto.
Le scene in cui si parla della mutilazione e dell'infibulazione sono terrificanti. Waris ha tantissimi problemi proprio a causa di un'infibulazione troppo "chiusa", che le dà problemi nella minzione e la fa soffrire atrocemente durante le mestruazioni.
La mutilazione genitale femminile è particolarmente diffusa in ventotto paesi africani. L’ONU ritiene che questa pratica abbia riguardato complessivamente 130 milioni di donne e ragazze. Più di due milioni sono le ragazze che ogni anno rischiano di esservi sottoposte: circa 6000 donne ogni giorno. Tale operazione viene solitamente eseguita in modo primitivo, da una levatrice o da un’altra donna del villaggio, senza anestetici. Le vittime vengono mutilate con utensili d’uso comune – quali lame di rasoio, coltelli, forbici – o, peggio, con schegge di vetro, pietre appuntite e persino a morsi. Questa pratica assume caratteri di maggiore o minore gravità secondo i luoghi, le tradizioni e le culture: il danno meno grave è rappresentato dall’asportazione della parte superiore del clitoride, che preclude alle donne la possibilità di godere delle gioie del sesso per tutta la vita; l’estremo opposto è invece l’infibulazione, che in Somalia viene praticata sull’ottanta per cento delle donne. Ed è proprio a questa che io sono stata sottoposta. Le conseguenze dell’infibulazione comprendono complicazioni immediate – trauma, infezioni, danni all’uretra e all’ano, difficoltà di cicatrizzazione, tetano, infezioni alla vescica, setticemia, HIV ed epatite B – e complicazioni a lungo termine – frequenti infezioni urinarie e pelviche che possono causare sterilità, cisti e ascessi attorno alla vulva, neuromi dolorosi, crescenti difficoltà a urinare, dismenorrea, ristagno del sangue mestruale a livello addominale, frigidità, depressione e morte.
Se penso che quest’anno due milioni di ragazze subiranno quello che ho subito io, mi sento male e mi rendo conto che quanto più questa tortura andrà avanti, tante più saranno le donne come me, furiose e ferite, che non potranno mai più riavere ciò che è stato loro tolto.