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VROOM, YAWN, RONF
Mi piacerebbe usare il tempo che ho a disposizione per parlare di alcune cose che mi sono venute in mente. Il più delle volte abbiamo tanta fretta che le occasioni per parlare sono ben poche.
Tempo a disposizione Pirsing ne aveva abbastanza: in moto, col figlio undicenne seduto dietro, dal Minnesota attraversando Dakota, Wisconsin, Montana, fino alla California, fino all’oceano Pacifico, scegliendo le back street, le strade secondarie. E quindi, senza fretta, godendo e assaporando l’andare.
Sulla carta ‘sto libro si presentava come una manna per me che ho cominciato a guidare, sia due ruote che quattro ruote, a dodici anni. Ed ero così fortunato da avere un fratello maggiore munito di Ducati Scrambler che doveva lasciare a casa durante i lunghi mesi di collegio veneziano: e quindi a dodici anni ho iniziato a guidare una Ducati e tuttora mi muovo principalmente su due ruote con motore.
Peccato che invece di godersi davvero il viaggio, o di fermarsi a far manutenzione della moto, e magari parlarmi di cilindri e pistoni, Pirsing, che di professione oltre lo scrittore fa soprattutto il filosofo, dibatta a lungo di Socrate, Platone, Hume, Kant, Hegel, Einstein, Lao Tzu, che a me piacevano molto al liceo, ma dopo non ho più voluto saperne.
Come se non bastasse, Pirsig avvolge tutto nel buddismo zen. Di male in peggio.
E quindi queste parti del libro non le ho godute affatto, gran voglia di saltarle, di passare a quelle sul suono del motore, il senso di una piega, l’aria in faccia, che sono poche, purtroppo, davvero poche. Abbondano e vincono quelle dedicate alla teoria della Qualità, quelle riempite di metafisica.
E la colpa è tutta di John e Sylvia, i due amici di Pirsig che viaggiavano con padre e figlio: due motociclette in viaggio per 80/100 pagine. Una meraviglia. Poi la coppia di amici, John e Sylvya, si fermano a casa di altri amici, restano lì, e son solo Pirsig e il figlio a ripartire. E da quel punto, forse perché sente la mancanza della coppia d’amici, forse perché la conversazione dell’undicenne era poco stimolante – ma in moto si tace, mica si chiacchiera – Pirsig si mette a fare il filosofo e sbrodolare di filosofia e peggio ancora di zen, e così mi ha perso. O io ho perso lui.
Peccato.
Col seguito uscito ventisette anni dopo non ho voluto ritentare: anche perché da quel che ho capito nel secondo la moto è scomparsa, anche solo come scusa. Ma è rimasta la filosofia. Tanta (Lila: un’indagine sulla morale).
Mi chiedo se i diari di viaggio del malefico Dibba nazionale si siano ispirati a questo tomo mattoncino.
Mi piacerebbe usare il tempo che ho a disposizione per parlare di alcune cose che mi sono venute in mente. Il più delle volte abbiamo tanta fretta che le occasioni per parlare sono ben poche.
Tempo a disposizione Pirsing ne aveva abbastanza: in moto, col figlio undicenne seduto dietro, dal Minnesota attraversando Dakota, Wisconsin, Montana, fino alla California, fino all’oceano Pacifico, scegliendo le back street, le strade secondarie. E quindi, senza fretta, godendo e assaporando l’andare.
Sulla carta ‘sto libro si presentava come una manna per me che ho cominciato a guidare, sia due ruote che quattro ruote, a dodici anni. Ed ero così fortunato da avere un fratello maggiore munito di Ducati Scrambler che doveva lasciare a casa durante i lunghi mesi di collegio veneziano: e quindi a dodici anni ho iniziato a guidare una Ducati e tuttora mi muovo principalmente su due ruote con motore.
Peccato che invece di godersi davvero il viaggio, o di fermarsi a far manutenzione della moto, e magari parlarmi di cilindri e pistoni, Pirsing, che di professione oltre lo scrittore fa soprattutto il filosofo, dibatta a lungo di Socrate, Platone, Hume, Kant, Hegel, Einstein, Lao Tzu, che a me piacevano molto al liceo, ma dopo non ho più voluto saperne.
Come se non bastasse, Pirsig avvolge tutto nel buddismo zen. Di male in peggio.
E quindi queste parti del libro non le ho godute affatto, gran voglia di saltarle, di passare a quelle sul suono del motore, il senso di una piega, l’aria in faccia, che sono poche, purtroppo, davvero poche. Abbondano e vincono quelle dedicate alla teoria della Qualità, quelle riempite di metafisica.
E la colpa è tutta di John e Sylvia, i due amici di Pirsig che viaggiavano con padre e figlio: due motociclette in viaggio per 80/100 pagine. Una meraviglia. Poi la coppia di amici, John e Sylvya, si fermano a casa di altri amici, restano lì, e son solo Pirsig e il figlio a ripartire. E da quel punto, forse perché sente la mancanza della coppia d’amici, forse perché la conversazione dell’undicenne era poco stimolante – ma in moto si tace, mica si chiacchiera – Pirsig si mette a fare il filosofo e sbrodolare di filosofia e peggio ancora di zen, e così mi ha perso. O io ho perso lui.
Peccato.
Col seguito uscito ventisette anni dopo non ho voluto ritentare: anche perché da quel che ho capito nel secondo la moto è scomparsa, anche solo come scusa. Ma è rimasta la filosofia. Tanta (Lila: un’indagine sulla morale).
Mi chiedo se i diari di viaggio del malefico Dibba nazionale si siano ispirati a questo tomo mattoncino.