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99 reviews
April 26,2025
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[32nd book of 2021. Artist for this review is Spanish painter Juan Gris.]


"Chessboard, Glass, and Dish", Details—1917

3.5. I would usually read a novel of this size in two or three days but I found this dense. Nabokov embeds all the dialogue as Kafka does, meaning most pages are giant paragraphs, sometimes running several pages, with conversations threaded in without any new lines for them. At night, if my eyes were drooping, I couldn't concentrate on the reams of continuous text.

As for the story: Luzhin becomes enamored with chess as a boy (he is a shy boy, meek, and rather unattractive) and slowly rises in fame. Around half-way he meets his mental breakdown. Chess doesn't actually play a giant role in the novel, it's more a commentary on the "mind of a genius", an idea I'm usually very fond of; but, frankly, there are better novels about chess (see Chess by Stefan Zweig) and there are better novels about the mind of a genius (see The Moon and Sixpence by W. Somerset Maugham). Nabokov's writing is always stunning, so it's hard to fault that, though this novel was missing some of his usual, almost demure, humour. The prose felt less playful than others, more self-serious. Apparently Luzhin is based off a man Nabokov knew from his own life, so perhaps that is why the prose reads the way it does. The ending is sudden, but I found quite moving. I was tempted to give it 4-stars but that wouldn't be a true representation of the experience as a whole. It's not a bad novel but it's slow and rather thick to wade through.

Chess always reminds of T.S. Eliot, Zweig, and now Nabokov. Though, I knew he was rather fond of a chess problem now and again anyway. My cousins were down from London yesterday and the eldest boy, Alexi, asked me if we could find a chessboard and play one another in the garden. Sadly, we could not. Instead, I read my grandmother's favourite Shakespeare sonnet to her, Sonnet 18.
April 26,2025
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n   Luzin: nome che rima con ‘illusion’n

Bene. Cioè male. Sono finalmente a fare i conti con Luzin, povero ragazzo, la cui storia, per le strane coincidenze della vita, si è intrecciata con quella di Benjamin, l’altro povero ragazzo del L’Urlo e il Furore.
Sia chiaro: i guasti mentali dei due non possono rubricarsi come psicologici ma organici ( genetici o acquisiti non importa). Onde per cui di competenza del neuropsichiatra o del letterato che ne fa oggetto della sua sperimentazione. Voieristica, mi viene da dire. Sono personaggi che vanno al di là da quelli messi in scena da Dostoevskij.
Luzin è spiato dalla serratura da Nabokov, così come dai genitori che almeno ne intuiscono la “fragilità”. Cercano di non infierire troppo, nonostante le aspettative deluse della madre valetudinaria e cornuta e quelle del padre, vitalista e fedifrago. Se al bambino piacciono gli scacchi che scacchi siano e, per non farsi mancare niente, che il figlio lo faccia da professionista.

Non potremmo mai sapere come sarebbe finita se le maledette circostanze della vita di Luzin non avessero complottato con il caso: galeotto fu il regalo che la zia fece al padre (suo amante, probabilmente): una preziosa scacchiera che l’ avrebbe legato a sé per sempre.
Ecco, ho trovato imbarazzante – e bellissimo se mi fossi semplicemente abbandonata alla lettura - il romanzo, e gli ho preferito l’onesto film che non fa di Luzin uno psicopatico o l’autistico che è ( la sua sinestesia ne è un sintomo) ma l’uomo bizzarro, visionario, geniale e fuori dagli schemi che tutti vorremmo essere, che in parte siamo ma imbastarditi dal tran tran quotidiano che ci fa mediocri, se non lo siamo già congenitamente.
Anche l’amore e soprattutto la morte (suicidaria) hanno un diverso significato. Il suicidio nel film è solo figlio dell’ ossessione per gli scacchi, una nevrosi, e fino all’ultimo speriamo nell’altra via d’uscita che, sebbene con basse probabilità, intuiamo possibile. Luzin/Turturro non ce la fa ma a modo nostro.
Nel romanzo è scritta nel cielo o nei geni. Nella nostra vita “normale” combattiamo per vincere questa pulsione inconscia di sfuggire alla vita che ci rema contro. Per Luzin non è una pulsione: lui vive dentro i riquadri della scacchiera i cui pezzi complottano contro di lui e se ne fanno beffe.
… Adesso tutte e due le gambe penzolavano fuori, bastava mollare la cosa a cui stava aggrappato e sarebbe stato salvo. Ma prima di lasciare la presa Luzin guardò giù. Là sotto si svolgevano i preparativi febbrili … l’intero abisso si suddivideva in quadrati chiari e quadrati scuri…”Luzin/Nabokov non ce la fa ma a modo suo.

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