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Non è un giallo perfetto, non è un capolavoro, il finale lascia a desiderare sia perché ti aspetti il colpo di scena ed invece la fine è più banale di quanto ti immagini, sia perché ci sono dei particolari non chiari che non mi portano; tuttavia le avventure di Lucas Corso, un cacciatore di libri rari su commissione, mediatore tra collezionisti e librai di edizioni antiche e preziose, tra Madrid, Toledo, Sintra e Parigi, alla ricerca delle due copie ancora esistenti del libro “Le nove porte del regno delle ombre” stampato a Venezia nel 1666 dallo stampatore Aristide Torchia, bruciato sul rogo per stregoneria, mi hanno catturato. A questo punto ci si può chiedere cosa c’entra Dumas, messo là nel titolo. C’entra perché Corso ha anche avuto un altro incarico, quello di verificare l’autenticità del manoscritto del capitolo 42 de I tre moschettieri di Dumas, dal titolo “Il vino d’Angiò”; non basta, le avventure che gli capitano sono come un deja vu delle pagine del libro di Dumas, in cui incontriamo, tra gli altri, la perfida Milady de Winter e l’intrigante Rochefort, gli agenti del cardinale Richelieu.
Il tema demoniaco si unisce dunque a quello letterario in modo perfetto, tanto da aver suscitato e tenuto acceso il mio interesse per tutta la durata del libro. Insomma, mi sono divertita e appassionata (ed in più ho anche conosciuto qualcosa della vita e delle opere di Alexandre Dumas, che ignoravo).
Il tema demoniaco si unisce dunque a quello letterario in modo perfetto, tanto da aver suscitato e tenuto acceso il mio interesse per tutta la durata del libro. Insomma, mi sono divertita e appassionata (ed in più ho anche conosciuto qualcosa della vita e delle opere di Alexandre Dumas, che ignoravo).