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L’insostenibile schifezza dell’essere
Confrontata a “La ragazza coi capelli strani” questa selezione di racconti appare più compatta e omogenea sul tema di fondo, ma allo stesso tempo molto più frantumata e originale nella struttura narrativa che l’autore adotta, sia per costruire ogni singolo racconto sia per congegnare l’insieme della raccolta.
Ne risultano così “brani” o “frammenti” (più che racconti…) che creano folgoranti istantanee fin nel minimo dettaglio con minuziosa precisione entomologica (il poeta sul bordo della piscina, il ragazzino sul trampolino…), assemblati a veri racconti, talora lunghi, dotati di un’ossatura narrativa che fa raramente evolvere la vicenda nel tempo, ma procede per progressivi svelamenti, celati fra le vertiginose digressioni labirintiche di cui Wallace è maestro.
I brani ricompresi nelle tre sezioni denominate “Brevi interviste con uomini schifosi” abbracciano meno di un terzo del volume, ma anche tutto il restante materiale è improntato all’analisi dell’umana abiezione, prevalentemente maschile (con qualche rara eccezione), nelle sue sfaccettature che paiono infinite. Si tratta per lo più di bassezze morali, vigliaccherie, soprattutto manipolazioni delle fragilità altrui al limite del plagio e molto meno di atteggiamenti fisicamente aggressivi. Anzi l’artefice del comportamento più violento, lo stupratore del penultimo racconto, finisce per risultare il più fragile e patetico fra gli uomini schifosi.
Come per la struttura formale, la varietà dei racconti risulta massima anche in funzione dell’assimilabilità delle singole storie: vi sono picchi travolgenti da cui non ci si riesce a distogliere come quello intitolato “La persona depressa”, ma anche brani in cui si brancola nel buio più fitto (il mio personale calvario è stato “Chiesa fatta senza le mani”, leggendo il quale ho temuto i prodromi di un ictus, talmente le parole scritte faticavano a comporre un significato nel mio povero cervello!). Ma queste opzioni sono del tutto opinabili perché non conosco autori in cui l’individuazione del meglio e del peggio risulti altrettanto soggettiva…
Comunque sia, tra i due estremi si collocano gli altri brani, rimbalzando fra il genio e l’ermetico autocompiaciuto e d’altronde, escludendo i saggi, questa è la prima opera pubblicata da Wallace dopo lo spartiacque di “Infinite Jest”, da cui si riverberano diverse invenzioni come l’uso stratificato delle note o i dialoghi che si rivelano monologhi con interlocutore muto o ammutolito.
In conclusione un altro tassello dell’opera di questo autore amato/odiato (odiato non per colpa sua ma per il fervore spesso eccessivo dei suoi fans fra i quali confesso di annoverarmi), ingombrante, onnipresente e stupefacente in tutti i sensi che tale parola implica.
Confrontata a “La ragazza coi capelli strani” questa selezione di racconti appare più compatta e omogenea sul tema di fondo, ma allo stesso tempo molto più frantumata e originale nella struttura narrativa che l’autore adotta, sia per costruire ogni singolo racconto sia per congegnare l’insieme della raccolta.
Ne risultano così “brani” o “frammenti” (più che racconti…) che creano folgoranti istantanee fin nel minimo dettaglio con minuziosa precisione entomologica (il poeta sul bordo della piscina, il ragazzino sul trampolino…), assemblati a veri racconti, talora lunghi, dotati di un’ossatura narrativa che fa raramente evolvere la vicenda nel tempo, ma procede per progressivi svelamenti, celati fra le vertiginose digressioni labirintiche di cui Wallace è maestro.
I brani ricompresi nelle tre sezioni denominate “Brevi interviste con uomini schifosi” abbracciano meno di un terzo del volume, ma anche tutto il restante materiale è improntato all’analisi dell’umana abiezione, prevalentemente maschile (con qualche rara eccezione), nelle sue sfaccettature che paiono infinite. Si tratta per lo più di bassezze morali, vigliaccherie, soprattutto manipolazioni delle fragilità altrui al limite del plagio e molto meno di atteggiamenti fisicamente aggressivi. Anzi l’artefice del comportamento più violento, lo stupratore del penultimo racconto, finisce per risultare il più fragile e patetico fra gli uomini schifosi.
Come per la struttura formale, la varietà dei racconti risulta massima anche in funzione dell’assimilabilità delle singole storie: vi sono picchi travolgenti da cui non ci si riesce a distogliere come quello intitolato “La persona depressa”, ma anche brani in cui si brancola nel buio più fitto (il mio personale calvario è stato “Chiesa fatta senza le mani”, leggendo il quale ho temuto i prodromi di un ictus, talmente le parole scritte faticavano a comporre un significato nel mio povero cervello!). Ma queste opzioni sono del tutto opinabili perché non conosco autori in cui l’individuazione del meglio e del peggio risulti altrettanto soggettiva…
Comunque sia, tra i due estremi si collocano gli altri brani, rimbalzando fra il genio e l’ermetico autocompiaciuto e d’altronde, escludendo i saggi, questa è la prima opera pubblicata da Wallace dopo lo spartiacque di “Infinite Jest”, da cui si riverberano diverse invenzioni come l’uso stratificato delle note o i dialoghi che si rivelano monologhi con interlocutore muto o ammutolito.
In conclusione un altro tassello dell’opera di questo autore amato/odiato (odiato non per colpa sua ma per il fervore spesso eccessivo dei suoi fans fra i quali confesso di annoverarmi), ingombrante, onnipresente e stupefacente in tutti i sensi che tale parola implica.