Oblivion

Author's note: review and rating both subject to change. I've already bumped it a star; the second will depend on what a rereading of the title story brings.

You know, I hate to say this about my favorite author, but a lot of this book is just kind of... boring. "The Suffering Channel" and "Oblivion" are the two problem children here, taking up about 130 pages of space; they desperately need the human touch Wallace applies to his distinct brand of experimental fiction. I get that they're transitional pieces, and that they show him moving into the style he would use to more enlightening ends during the early drafts of The Pale King. However, since he can't find anything fascinating about the details (which he, oddly enough, manages on some of this collection's better pieces - the unfairly maligned "Mister Squishy" and the three I'm about to bring up nail it), they just end up being slogs so painfully dull that I end up losing the thread of the story. Furthermore, since I don't really connect with the characters in either of these pieces, their more postmodern touches just come off as too clever-clever for my liking.

Luckily, this is still a David Foster Wallace book, which guarantees that it'll have a few truly fantastic moments. The meat of this is found in three stories. First off, the neo-existentialist "Good Old Neon" is a total classic. I don't quite agree with the common line of thought that holds it up as his best story ever (I'd definitely take the second "Devil is a Busy Man," the one about diverting money, over this, and a few other pieces from the [much better, I'll add] Brief Interviews with Hideous Men at least challenge it, for instance "Signifying Nothing" and "Octet"), but the psychological depth of it is astounding, and the metafictional twist he throws in at the end stuns. "The Soul is Not a Smithy" offers a repeat performance when it comes to Wallace getting into characters' heads, being an examination of a boy whose mind wanders away in class even as a substitute teacher holds them hostage. It's hard to go wrong with such a cool concept, but even when you take that out, the story still excels - check out how the boy's circumstances and the movies he concocts in his head. The last of the classics is "Another Pioneer," about a child in a stone age society who can answer any question put to him; it's given to us thirdhand, which is always something I find interesting, and it's a fascinating study of how myths perpetuate themselves. "Mr. Squishy" is pretty good too - not in the same class of the three classics, but the way he contrasts the suspense of the climbing figure with the bored, wandering minds of the corporate meeting is classic Wallace. And I can really tell that he used ideas from both this and "The Soul is Not a Smithy" in the Pale King; the English major in me is going crazy over that.

Still, this is definitely the weakest and most disappointing Wallace book I've read yet. It has three brilliant long-form stories, one pretty good one, and two painfully dull ones. As for the two shorter pieces, they really represent the dichotomy at work here: while "Incarnations of Burned Children" is full of motion, suspense, and terror, "Philosophy and the Mirror of Nature" simply tries to mash too many elements together for eight pages. It's at least worth getting from the library, but don't make this your first time around with DFW.

DNF
Poddałam się po 30 stronach pierwszego opowiadania. Dałam szansę kolejnemu i wytrzymałam niecałe 20. Zajrzałam do kilku kolejnych i wygląda na to, że to ciągle ta sama melodia.
A więc taki jest ten cały David Foster Wallace.
Dla mnie - całkowicie nieczytalny. Aż rozbolała mnie głowa :(

I racconti di Oblio, molto diversi per stile e per lunghezza (si va dalle quattro pagine di Incarnazioni di bambini bruciati a brevi romanzi di un centinaio di pagine), sembrano avere come denominatore comune la disillusione e la rassegnazione dell’età adulta.
Se ne La scopa del sistema c’è l’onnipotenza giovanile di chi pensa di poter superare tutti problemi e di poter provare infinite sperimentazioni; se in Infinite Jest c’è la consapevolezza di chi di chi ha dovuto lottare e soffrire per giungere a un equilibrio psichico di cui si riconosce la precarietà, in Oblio l'elemento caratterizzante è la disillusione della vita adulta, la consapevolezza che alcuni obiettivi non verranno mai raggiunti e quelli che si riesce a raggiungere si trasformano spesso in noiosa routine perdendo tutta la loro attrattiva.
L’oppressione della quotidianità è resa ancora più gravosa dalla certezza di essere un elemento insignificante di un sistema che non tiene in nessuna considerazione i bisogni e i desideri dei singoli individui. Il rapporto di coppia appare come l’unica ancora di salvezza a chi non riesce a superare la cortina di solitudine all’interno della quale si è rifugiato (Mr. Squishy); per altri, invece, è solo una delle tante relazioni interpersonali in cui si indossa la maschera della desiderabilità sociale per ottenere l’approvazione degli altri (Caro vecchio neon). La cultura, i sistemi sociali ed economici ingabbiano le persone dentro personaggi che recitano la loro parte a uso e consumo di un pubblico fatto di altri personaggi che a loro volta recitano un copione che non si sono scelti; non è possibile essere veramente se stessi anche a causa del tempo e del linguaggio così come li conosciamo. L’autenticità è possibile solo con la morte che ci libera dai vincoli della logica e della sequenzialità ((Caro vecchio neon) e ci rende parte di tutte le cose (Incarnazioni di bambini bruciati). La quotidianità è così gravosa che le persone, pur di dimenticarsene, finiscono per confondere i piani di realtà e a non distinguere più la veglia dal sonno, in un circolo di angoscia in cui precipita anche il lettore che non comprende più cosa è l’uno e cosa è l’altra (Oblio).
L’arte (Il canale del dolore) e la filosofia (Un altro pioniere), nonostante le loro potenzialità, non sfuggono alle regole ferree del marketing e della commercializzazione che mirano alla soddisfazione dei bisogni immediati (bisogni che vengono debitamente creati e manipolati, illudendo le persone che sono libere di scegliere e di trasgredire.)
I racconti non sono semplici nella loro articolazione, alcuni (Mr. Squishy, L’anima non è una fucina, La filosofia e lo specchio della natura) hanno più linee narrative che procedono parallele senza mai incontrarsi pur essendo parte integrante della trama, con una parte del racconto che riporta gli eventi (la conduzione di un focus group per le indagini di marketing; un insegnante che, nel bel mezzo di una lezione di educazione civica, si estranea e comincia a scrivere ripetutamente sulla lavagna Uccidili tutti; il viaggio in autobus di una donna sfigurata dagli interventi di chirurgia plastica) e con un’altra, apparentemente slegata dalla prima (un misterioso personaggio che si arrampica su un grattacielo polarizzando l’attenzione dei passanti e degli impiegati negli uffici sottostanti; la sfrenata fantasia di un alunno che si perde nei suoi pensieri dando vita a una storia angosciante di perdite e morte; la descrizione di alcune specie di ragni che un uomo porta sempre con sé in una valigia) che però contribuisce in maniera determinante al grado di tensione emotiva dell’intera vicenda narrata. Ogni racconto presenta una molteplicità di elementi, una ridondanza di descrizioni e di pensieri che rendono complicata la ricerca di un senso profondo, al punto poi da chiedersi se tale senso ci sia effettivamente o se piuttosto si tratti di razionalizzazioni del lettore che cerca di rendere sensato ciò che non lo è.
È difficile scrivere di D. F. Wallace, un autore controverso sin dal suo primo romanzo e che il suicidio ha trasformato per molti in un’icona da venerare o da disprezzare. A me piace la sua capacità di descrivere gli stati emotivi e quegli intricati percorsi mentali che chiamiamo pensiero; questa sua capacità è anche il suo punto debole: si perde nei rivoli delle emozioni e dei pensieri sino a diventare a volte ripetitivo e inconsistente; i periodi lunghi, le minuziose descrizioni, i dettagli del contesto sono paludi e pantani che spingono a una lettura frettolosa o a un abbandono più o meno definitivo. Un antidoto al desiderio di fuga è una lettura tranquilla, cui si dedica tutto il tempo necessario, senza scadenze e senza alcuna frenesia di capire dove l’autore vuole andare a parare; una lettura che si sospende, e poi si riprende, quando pensieri ed emozioni si trasformano in buchi neri che risucchiano tutto il piacere di trascorrere del tempo con David Foster Wallace e si inizia a pensare che il suicidio era per lui l’unica strada percorribile.

ترجمه ی فوق العاده عجیب و بد كتاب شبیه ترجمه های گوگل ترنسلیت هست. برای مترجم و انتشارات واقعا متاسفم

 از صفحه ی 278:
به خاطر طرز عكس العمل مشهود بعضی از همسفرانمون وقتی سوار میشن و همونطور كه شروع میكنن به راه رفتن توی راهرو به طرف یه صندلی عمل ظاهرا واكنشی انداختن نگاه كوتاهی به صورت هایی رو انجام میدن كه توی ردیف های باریك صندلی ها كه در طول اتوبوس به عقب كشیده شده ن روبروی اون ها هستن و ناگهان صورت بادكرده و بی صدا جیغ كشان مادر رو میبینن كه انگار با وحشت جنون آمیز به اون ها 
خیره شده

از صفحه ی 179:
قابلمه ی برگشته روی سرامیك كف جلوی اجاق گاز و فواره ی آبی شعله و آب چاله ی روی زمین كه هنوز بخار می كرد و بازوهای زیادش باز شده بودن، بچه ی نوپا با قنداق بادكرده و شل و ول اش شق و رق وایساده بود.........و جیغ هارو با دادهای خودش همراهی میكرد،اون قدر تشنج زده كه تقریبا یخ زده بود.

از صفحه ی 131:
یادم نمیاد دقت كرده باشم درست كی بود كه دوتا سگ نمای خارجی به هم پیوستگی نزدیك شون رو قطع كردن و شروع كردن به چرخیدن توی دایره هایی با اندازه ی بگی نگی متفاوت، پوزه كشون به خاك وگل توی زمین چمن.

4.5 Stars

Skończona na siłę rzecz dla masochistów. Zdania po pół strony i praktyczny brak treści...

non ce la faccio. che barba, che ansia, che noia, eppure ho già letto "Incarnazioni di bambini bruciati" che a detta di molti può essere considerato come il migliore. Non so se continuare o no, detesto abbandonare i libri ma d'altro canto la scrittura di Wallace non riesce a conquistarmi. Non calco oltremodo la mano, non tingo ulteriormente di nero, per un mio pudore ad esprimere un parere che potrebbe essere superficiale nei confronti dell'opera di un uomo che dal nero del mondo è stato soffocato. Ma caspita, in questo testo è così evidente la sua intenzione... R.I.P., now, Wallace

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Oblivion - consigned to, by some class act who deleted the pdf and the accompanying seven reviews and 103 ratings of Good Old Neon without the simple foresight to MERGE said pdf listing with the final collection (and for those of you who don't think it was sufficient as a standalone check out the Mighty Jumbuck's review of this listing) of join-the-dots-as-stories by DFW.

Read no further if you've read already (with apologies to the appreciated commenters who rest in the dustbin of moronic efficiency):

First, the reality that you haven’t amounted to anything, and that you won’t amount to anything. The simple logic based on analysing the world and your place in it, what you lack that is required to make an impact upon it, that leads to this realisation that you are a vessel not of unfulfilled dreams, but unattainable aspirations arising from a misinformed sense of your own self, your own capabilities. What you want to be, what you would like to imagine yourself to be, what you in millisecond fits of reverie lie to yourself about being, and what you are, equal all that which never moves beyond the mundane, no matter the craving for credit, the addiction to acceptance, the relishing of recognition.

Second, the knowledge that you are a coward, and worse, a hypocrite. That you know of the iniquities that pervade the planet, of the injustices that plague the poor, and you bleat banalities like weed your own lawn before mowing the neighbour’s and poverty is relative and reduce, re-use, and re-cycle and only bite off what can be chewed and caring is sharing to excuse yourself from any action that might alter the privileged status quo of your own existence or re-dress the global imbalance between the haves and the have-nots—much less effort to be an almost-have than a deliberate have-not.

Third, the realisation that neither philosophy nor fear, love nor logic, reason nor reaction provides sufficient impetus to continue the farce of the quotidian, that the search for definitive meaning bears no fruit, that existence is nothing more than the animated collision and collusion of attracted atoms in a particular, momentary array, irrespective of whether by external design or internal happenstance. That the overwhelming sense of staleness, of weariness, of having exhausted the rationale not to break the bonds of those atoms and scatter these in the cosmic wind, is the natural result of that reality, that knowledge, that realisation. What remains is less a choice, more an implacable fact, the freedom to act.

With this, you consider, having seen the suffering created by those who depart and experienced by those who remain, how you can ameliorate grief and even exculpate guilt. You prepare documents, make transfers, ensure a semblance of stability, you create an unfolding fabrication to explain your disappearance which you hope will protect your beloved child, just entering high-school, from the imagined effects the actuality of your death might have. You consider whether to leave a letter for your spouse, or perhaps a video, a momento, an attempt to detail how you always believed that you could thwart the death drive by loving and being in love, by finding, according to that hoary old romantic folly, the one person with whom to spend the rest of your life. That the rest of your life was shorter than the length suggested by the emotional contract you signed was as much a surprise to you as it will be to that person, discovering first via credit card statement the hospital bill for a procedure undertaken in The Netherlands, when you were to have visited a friend in Rome, and the subsequent timed email with a link to a website about reviews of books.