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Ladies and Gentlemen, il Romanzo Storico è servito!
Sir Walter Scott è universalmente noto per aver inventato il romanzo storico moderno (e per questo da due secoli frotte di lettori gli cantano lodi sempiterne); fra le sue tante opere, la più celebre di tutte è senza dubbio Ivanhoe, il cui folgorante successo internazionale ne determinò una subitanea trasposizione in opera lirica musicata da Gioacchino Rossini, l’equivalente ottocentesco dell'odierno blockbuster hollywoodiano diretto da Steven Spielberg.
Eppure, è cosa nota, quando si vuole lanciare una nuova moda, il rischio di fare un buco nell'acqua è dietro l'angolo; lo capì fin troppo presto Isabella Gilbert, inventrice della pratica museruola-crea-fossette-sulle-guance, e dovette temere il peggio anche il nostro Walterone che, infatti, pensò bene di piazzare prima dell'inizio vero e proprio del romanzo una fittizia lettera dedicatoria indirizzata al Rev. Dott. Dryasdust, una dichiarazione d’intenti ad uso e consumo dei lettori più puntigliosi, una sorta d'excusatio non petita in cui spiegava con altrettanto puntiglio come fosse giunto a concepire e a realizzare questa straordinaria novità, una narrazione al contempo storica e romanzesca, in cui verità e finzione coesistono, il romanzo storico, per l'appunto; ossimoro letterario usato per esporre tematiche contemporanee traslandole in un'epoca passata, nel caso specifico, la lotta fra unionisti e indipendentisti scozzesi trasformata nel confronto fra Sassoni e Normanni nell'Inghilterra medievale.
Letta oggi, dopo oltre duecento anni di sovrabbondante proliferare indiscriminato di romanzi storici d'ogni fatta, questa lettera in cui l'Inventore illustra le sue fonti e tenta di giustificare le molte licenze alla Storia che troveremo lungo il percorso suscita quasi commozione nel suo essere così ingenua e, a paragone della quale, l’audace escamotage narrativo dell'Anonimo seicentesco trasforma istantaneamente Alessandro Manzoni nel Christopher Nolan dei romanzieri.
Come ognun se n'avvede, infatti, dobbiamo sempre a Scott anche l'esistenza de I Promessi Sposi (e per questo da altrettanti secoli frotte di studenti gli lanciano maledizioni altrettanto sempiterne). Sandrone copiò Walterone e, come lui, fecero prima Victor Hugo e poi Alexandre Dumas in Francia. La lista dei figli e figliastri di Scott sarebbe così lunga da arrivare sino ai giorni nostri (gli deve tantissimo anche Tolkien), ma noi ci fermeremo a questi tre ingombranti soggetti, bastano e avanzano.
Ognuno di loro, bisogna riconoscerlo, seppe interpretare con una buona dose d'originalità la lezione di Scott: Hugo ne esaltò la componente storica, arrivando a sfornare trattati sul passato mascherati da romanzi; Manzoni ne ricalcò solo l’impostazione generale, l'idea, sostituendone l'aspetto più avventuroso e dilettevole con precetti pedagogico-moralizzanti; Dumas più di tutti ne colse le potenzialità romanzesche e le portò alle massime vette mai toccate da scrittore.
Lo stile di Scott, in certa misura, li ricorda e racchiude tutti e tre, possiamo dire che Ivanhoe è l'opera seminale di un filone che ancor oggi gode di chiara fama, seppur ormai spogliato di ogni suo intento primigenio; raramente, infatti, gli autori dei romanzi storici odierni adoperano la Storia per riflettere sulla contemporaneità, come invece fecero magistralmente quei quattro signori là.
Piccola postilla finale
Vi sarete accorti che ho taciuto ogni informazione sulla trama, l'ho fatto in parte perché ritengo che questo sia un romanzo ricchissimo che merita d'essere scoperto durante la lettura, ma principalmente perché non volevo entrare in competizione con la mia pessima insegnante d'inglese, che così mi presentò i quattro libri d’epoca Regency fra i quali io e i miei compagni avremmo dovuto trovare la nostra prossima lettura, a seguito della mia spaesata richiesta di lumi per orientarmi nella scelta: "Se ami le storie d'amore romantiche che partono male ma finiscono bene, leggi Orgoglio e Pregiudizio; se ami le storie d'amore tenebrose che partono male ma finiscono malissimo, leggi Cime tempestose; se ami le storie complicate che poi si complicano ancora di più, leggi Ivanhoe; se vuoi ridere a crepapelle fino alle lacrime, leggi Northanger Abbey, uhuhuhuh! scusami, ma rido al solo pensiero, uhuhuhuh!"
Purtroppo scoprii a mie spese che la mia pessima professoressa d’inglese aveva anche un pessimo sense of humor.
Oggi, dopo oltre vent'anni da quel lontano giorno, possiamo certificare senza tema di smentite che era pessima anche nel presentare le trame dei romanzi.
Ah, se solo mi avesse detto: "Se ami i castelli, i cavalieri e Robin Hood…", non mi sarei privato così a lungo di questa meravigliosa storia complicata che poi si complica ancora di più.
Sir Walter Scott è universalmente noto per aver inventato il romanzo storico moderno (e per questo da due secoli frotte di lettori gli cantano lodi sempiterne); fra le sue tante opere, la più celebre di tutte è senza dubbio Ivanhoe, il cui folgorante successo internazionale ne determinò una subitanea trasposizione in opera lirica musicata da Gioacchino Rossini, l’equivalente ottocentesco dell'odierno blockbuster hollywoodiano diretto da Steven Spielberg.
Eppure, è cosa nota, quando si vuole lanciare una nuova moda, il rischio di fare un buco nell'acqua è dietro l'angolo; lo capì fin troppo presto Isabella Gilbert, inventrice della pratica museruola-crea-fossette-sulle-guance, e dovette temere il peggio anche il nostro Walterone che, infatti, pensò bene di piazzare prima dell'inizio vero e proprio del romanzo una fittizia lettera dedicatoria indirizzata al Rev. Dott. Dryasdust, una dichiarazione d’intenti ad uso e consumo dei lettori più puntigliosi, una sorta d'excusatio non petita in cui spiegava con altrettanto puntiglio come fosse giunto a concepire e a realizzare questa straordinaria novità, una narrazione al contempo storica e romanzesca, in cui verità e finzione coesistono, il romanzo storico, per l'appunto; ossimoro letterario usato per esporre tematiche contemporanee traslandole in un'epoca passata, nel caso specifico, la lotta fra unionisti e indipendentisti scozzesi trasformata nel confronto fra Sassoni e Normanni nell'Inghilterra medievale.
Letta oggi, dopo oltre duecento anni di sovrabbondante proliferare indiscriminato di romanzi storici d'ogni fatta, questa lettera in cui l'Inventore illustra le sue fonti e tenta di giustificare le molte licenze alla Storia che troveremo lungo il percorso suscita quasi commozione nel suo essere così ingenua e, a paragone della quale, l’audace escamotage narrativo dell'Anonimo seicentesco trasforma istantaneamente Alessandro Manzoni nel Christopher Nolan dei romanzieri.
Come ognun se n'avvede, infatti, dobbiamo sempre a Scott anche l'esistenza de I Promessi Sposi (e per questo da altrettanti secoli frotte di studenti gli lanciano maledizioni altrettanto sempiterne). Sandrone copiò Walterone e, come lui, fecero prima Victor Hugo e poi Alexandre Dumas in Francia. La lista dei figli e figliastri di Scott sarebbe così lunga da arrivare sino ai giorni nostri (gli deve tantissimo anche Tolkien), ma noi ci fermeremo a questi tre ingombranti soggetti, bastano e avanzano.
Ognuno di loro, bisogna riconoscerlo, seppe interpretare con una buona dose d'originalità la lezione di Scott: Hugo ne esaltò la componente storica, arrivando a sfornare trattati sul passato mascherati da romanzi; Manzoni ne ricalcò solo l’impostazione generale, l'idea, sostituendone l'aspetto più avventuroso e dilettevole con precetti pedagogico-moralizzanti; Dumas più di tutti ne colse le potenzialità romanzesche e le portò alle massime vette mai toccate da scrittore.
Lo stile di Scott, in certa misura, li ricorda e racchiude tutti e tre, possiamo dire che Ivanhoe è l'opera seminale di un filone che ancor oggi gode di chiara fama, seppur ormai spogliato di ogni suo intento primigenio; raramente, infatti, gli autori dei romanzi storici odierni adoperano la Storia per riflettere sulla contemporaneità, come invece fecero magistralmente quei quattro signori là.
Piccola postilla finale
Vi sarete accorti che ho taciuto ogni informazione sulla trama, l'ho fatto in parte perché ritengo che questo sia un romanzo ricchissimo che merita d'essere scoperto durante la lettura, ma principalmente perché non volevo entrare in competizione con la mia pessima insegnante d'inglese, che così mi presentò i quattro libri d’epoca Regency fra i quali io e i miei compagni avremmo dovuto trovare la nostra prossima lettura, a seguito della mia spaesata richiesta di lumi per orientarmi nella scelta: "Se ami le storie d'amore romantiche che partono male ma finiscono bene, leggi Orgoglio e Pregiudizio; se ami le storie d'amore tenebrose che partono male ma finiscono malissimo, leggi Cime tempestose; se ami le storie complicate che poi si complicano ancora di più, leggi Ivanhoe; se vuoi ridere a crepapelle fino alle lacrime, leggi Northanger Abbey, uhuhuhuh! scusami, ma rido al solo pensiero, uhuhuhuh!"
Purtroppo scoprii a mie spese che la mia pessima professoressa d’inglese aveva anche un pessimo sense of humor.
Oggi, dopo oltre vent'anni da quel lontano giorno, possiamo certificare senza tema di smentite che era pessima anche nel presentare le trame dei romanzi.
Ah, se solo mi avesse detto: "Se ami i castelli, i cavalieri e Robin Hood…", non mi sarei privato così a lungo di questa meravigliosa storia complicata che poi si complica ancora di più.