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n Adesso ricorda: gli aveva parlato, tanto tempo fa, delle poesie di Jumpy. Sta cercando di farne una raccolta. Un libro. L'artista col pollice in bocca e le sue visioni infernali. Un libro è il frutto di un patto col Diavolo, che è l'opposto del contratto faustiano, aveva detto ad Allie. Il dottor Faust sacrifica l'eternità in cambio di due dozzine d'anni di potere; lo scrittore accetta la rovina della propria vita e guadagna (se ha fortuna) non l'eternità, forse, ma alemno una posterità. In entrambi i casi (era la tesi di Jumpy) è il Diavolo che vince.
Cosa scrive un poeta? Versi. Che cosa tintinna nel cercello di Gibreel? Versi. Che cosa gli ha spezzato il cuore? Versi, ancora versi.n
Mi ferisce che si parli di questo romanzo solo per motivi paratestuali. È cosa nota che, dal momento che alcuni capitoli dei Versi Satanici contengono una versione romanzata del profeta Maometto, l'imam Ruhollah Khomeyni, all'epoca guida suprema dell'Iran, lanciò una fatwa contro l'autore, Salman Rushdie, condannandolo a morte per eresia e promettendo una taglia da capogiro all'eventuale boia. Viste le continue minacce, il governo britannico assegnò la scorta a Rushdie. Purtroppo, lui non era l'unico nel mirino dei fondamentalisti islamici. L'editore norvegese e il traduttore italiano riuscirono a scampare agli attentati. Il traduttore giapponese fu più sfortunato e venne pugnalato a morte nel suo ufficio. Di tutto questo se ne è parlato e, per molto tempo, si è parlato solo di questo.
Ancora più tristemente, si è smesso di parlare del tutto dei Versi Satanici. Una volta eravamo volterianamente difensori della libertà d'espressione nostra e altrui, eravamo tutti Charlí Hebdó anche se non lo avevamo mai sfogliato in vita nostra, libera chiesa in libero stato, almeno in teoria, ma soprattutto liberi stati dalle chiese altrui. Poi un giorno ci siamo svegliati vergognandoci di noi stessi, troppa libertà!, e sentendoci in colpa per tutti i mali del mondo. Là dove non siamo stati più capaci di criticare, o comprendere, abbiamo preferito il silenzio. Adesso, quando si parla si Salman Rushdie, si dice che sì, I Figli della Mezzanotte è bellissimo, bellissimo, bellissimo! E gli altri romanzi: che bellezza, che fantasia! Con quello lo stile così visionario, eccentrico, eppure elegante, sofisticato e al tempo stesso godibilissimo. In fondo Rushdie è uno dei fondatori del realismo isterico - espressione che il critico James Wood aveva inventato per parlare dispregiativamente di Denti Bianchi, l'esordio di Zadie Smith e di cui proprio una giovanissima e orgogliosa Zadi Smith si riappropriò, nobilitandola. Si parla insomma di Rushdie, ma non dei suoi Versi Satanici. Ci siamo accorti che è un romanzo 'problematico', forse 'islamofobico', quindi non ne dobbiamo parlare più. Di leggerlo, non lo abbiamo mai letto. Va bene leggere Céline, perché lui era un genio. Chi se ne frega se era antisemita e collaborazionista? E poi è morto, quindi non c'è problema e, anzi, va letto. Va bene anche leggere Houellebecq, perché la voce del popolo, che è divina, ha decretato che anche lui è un genio, e mica è islamofobico e sessista, no, lui è 'satirico', è un 'pugno nello stomaco alla borghesia ben pensante', quindi va bene. Non è morto, però è brutto, quindi va letto, se no poi dicono in giro che sei bruttofobo. Invece il romanzo di Rushdie no, non va letto, non bisogna parlarne, va consegnato alla dimenticanza, perché è semplicemente inconcepibile, è semplicemente un'eresia che uno scrittore di origine indiana non ci parli dei poveri indiani sottomessi e colonizzati, non ci descrive le malie di una nazione soprannaturale e misticheggiante, ma è fieramente ateo e scrive per metterci in guardia dagli estremismi e dai fanatismi. Quello che fece Rushdie in questo romanzo, e che è molto di più e va molto più in là delle lamentele houellebecquiane, viene in un certo qual modo percepito come osceno, offensivo. Un peccato. Un'eresia.
Nell'agosto 2022, a distanza di più di trent'anni dalla fatwa, un fondamentalista islamico ha accoltellato Salman Rushdie durante un evento pubblico. All'epoca dei fatti, Rushdie aveva 75 anni. Siccome ha la pellaccia dura, è sopravvissuto, ma c'ha rimesso un occhio e il funzionamento di una mano. E chi ne ha parlato? In Italia sono stati in pochi a parlarne ed esporsi. Gli scrittori nostrani, poi, sembravano più impegnati a discutere della piccola politica di casa nostra, di Draghi, di Giorgia Meloni, perché si sa che gli scrittori devono essere 'impegnati', se no come la portano la pagnotta a casa? Poi magari di Salman Rushdie si tornerà a parlare quando sarà morto, visto che a quel punto toccherà santificarlo. Si leverà il lamento di prefiche addolorate che improvvisamente si scopriranno orfane, avranno perduto il loro scrittore preferito in assoluto, di cui hanno letto tutto tutto tutto, persino quel problematico romanzo islamofobico, che hanno letto, sì, anche se non ne hanno parlato. E poi, forse, fra un paio di secoli, finalmente qualche studioso si prenderà la briga di leggerlo davvero, I Versi Satanici, di commentarlo, studiarlo, discuterlo e amarlo.
Ferisce, questa situazione. Ed è anche molto deludente. Soprattutto, perché I Versi Satanici è un romanzo bellissimo. Cominciamo dal punto più controverso: Maometto. Ebbene, Maometto (o meglio, 'Mahound') appare solo in alcuni capitoli del libro. Quei capitoli raccontano dei sogni visionari di Gibreel, uno dei due protagonisti, che appunto sogna le vicende che hanno portato all'ascesa religiosa e politica di Mahound. Secondo quanto raccontato dal Corano, Satana sussurrò i suoi 'versi' al Profeta per indurlo in inganno. Lui, che di solito conversava con l'Altissimo, scambiò la voce del demonio per quella divina e si fece convincere ad accettare tre divinità pagane all'interno del pantheon della nuova religione, minando quindi le fondamenta del monoteismo, salvo poi accorgersi dell'inganno e rimangiarsi ciò che aveva decretato sotto inganno. Tutta questa storia, però, assieme a molte altre, sono rese da Rushdie in una chiave onirica, fantastica: c'è una città di sabbia, in cui il crimine più grande è versare l'acqua, perché ciò rischierebbe di distruggere ogni cosa; donne politiche e potentissime, da una parte, e dall'altra prostitute perdute in labirinti di veli e tendaggi, talmente abituate a interpretare qualcun altro da smarrire i confini fra la loro identità e quella dei loro personaggi; viaggiatori, commercianti, leoni rossi, vendette...
L'uso romanzesco di un episodio religioso ha, evidentemente, un'origine letterariamente nobile. Alcuni capitoli di Il Maestro e Margherita, di Mikail Bulgakov, parlavano del processo di Ponzio Pilato a Gesú Cristo. Quei capitoli non vogliono raccontare una qualche verità evangelica, ma costituiscono il manoscritto del Maestro, a tutti gli effetti un romanzo-nel-romanzo, proprio come la vicenda di Mahound nei Versi Satanici è contenuta nei sogni di uno dei personaggi e rappresenta una specie di romanzo-nel-romanzo. E come Bulgakov mescola religione, miti ed elementi fantastici per criticare i danni del sovietismo, così Rushdie mescola religione, miti ed elementi fantastici per criticare i danni del fondamentalismo.
I protagonisti sono Gibreel, quello dei sogni, divo di Bollywood dalla straordinaria bellezza, specializzato nell'interpretare parti di angeli e santi; e Chamcha, indiano trapiantato in Inghilterra, o meglio fuggito dall'India, anche lui attore, ma più della tradizione del teatro Shakespeariano. Questi due uomini così simili (entrambi indiani, entrambi attori) eppure così diversi (uno che ha fatto fortuna in casa, l'altro che quella casa l'ha rinnegata e si sente, a tutti gli effetti, inglese) si trovano in un aereo dirottato da un gruppo di estremisti. Quando questi ultimi decidono di farsi saltare per aria, Gibreel e Chamcha precipitano per diecimila metri e miracolosamente si salvano, venendo ritrovati da una vecchia signora in riva al Canale della Manica. A quel punto, succede un fatto inspiegabile. Mentre i sogni rivelatori di Gibreel diventano più vividi e frequenti, lui comincia ad 'angelizzarsi': gli spunta l'aureola, le persone si inginocchiano al suo passaggio, sta innegabilmente diventando l'Arcangelo Gabriele. Chamcha, invece, progressivamente si 'demonizza'. In Inghilterra, dove lui viveva e lavorava, non lo riconosce più nessuno, perché gli sono spuntate le corna, la coda, i peli dappertutto; sua moglie si è convinta della sua morte e si è messa con il suo miglior amico; e lui, il mefistofelizzato Chamcha, invece di sognare viene sognato dagli indiani, dai neri, dai poveri, da tutti gli esclusi di quella società inglese a cui lui, un tempo, voleva appartenere a tutti i costi.
Ma questa non è che la struttura di base, lo scheletro del plot, che già così appare un milione di volte più mirabolante e sofisticato delle trame miserabili di molti romanzetti da quattro soldi che vengono pubblicati al giorno d'oggi, capaci di raccontare solo il dolore di un lutto, il dolore di un abuso, il dolore di una malattia, il dolore di un lutto, un lutto, il dolore, il dolore, il dolore. I Versi Satanici è uno di quei romanzi incredibili e strabilianti capaci di raccontare la realtà attraverso la fantasia. Si parla di amore, di fede, di identità sociali e politiche, di gelosia, di amicizie tradite, del valore dell'arte, di patrie cercate, perdute, acquisite, adottate, della ferita degli immigrati. È un otto volante di emozioni, un turbinio di personaggi, situazioni, illuminazioni che danno il capogiro, come il buon vino. È un capolavoro. E spero che almeno fra qualche secolo verrà riscoperto.
n Rimasto solo, si rocordò subito che lui e Pamela erano stati un tempo in disaccordo, come su tutto il resto, su un racconto che avevano letto entrambi e che aveva appunto come tema la natura dell'imperdonabile. Un uomo e una donna erano stati amici intimi (ma non amanti) per tutta la loro vita d'adulti. Per il suo ventunesimo compleanno (allora erano tutti e due poveri), lei gli aveva regalato, per scherzo, il vaso di vetro più brutto e volgare che era riuscita a trovare, con colori che erano una parodia pacchiana della gaiezza veneziana. Venti anni dopo, quando entrambi avevano avuto successo e stavano diventando grigi, lei andò a trovarlo a casa sua e si mise a rimproverarlo per come aveva trattato un amico comune. Nel corso della lite, i suoi occhi si posarono sul vecchio vaso, che lui teneva ancora al posto d'onore sulla mensola del soggiorno, e senza interrompere la sua tirata, lo fece cadere sul pavimento dove si ruppe in mille pezzi. Da allora lui non le rivolse più la parola; e quando lei morì, cinquant'anni dopo, si rifiutò di andare a trovarla sul letto di morte o di assistere al suo funerale, bencé fossero arrivati dei messaggeri a dirgli che questo il suo desiderio più grande. "Ditele" dichiarò agli emissari, "che lei non ha mai saputo quanto era prezioso per me ciò che ha rotto". Gli emissari discussero, implorarono, s'arrabbiarono. Se lei non sapeva di quale significato lui aveva investito quella cosetta, come si poteva, oggettivamente, fargliene una colpa? E nel corso degli anni non aveva forse tentato infinite volte di scusarsi e di espiare? Adesso poi, perdio, stava morendo; non era possibile appianare questa antica e puerile divergenza? Avevano già perso tutta una vita d'amicizia; non potevano almeno dirsi addio? "No" disse l'implacabile uomo. "Ma è davvero per il vaso? O ci stai nascondendo qualcosa di più misterioso?" "È per il vaso" rispose lui. "Per il vaso e niente altro". Secondo Pamela, l'uomo era meschino e crudele. Ma Chamcha aveva già allora apprezzato la strana privacy, il carattere intimo e inspiegabile del problema. "Nessuno può valutare una ferita interiore dalle dimensioni di quella esteriore, del foro".n
Cosa scrive un poeta? Versi. Che cosa tintinna nel cercello di Gibreel? Versi. Che cosa gli ha spezzato il cuore? Versi, ancora versi.n
Mi ferisce che si parli di questo romanzo solo per motivi paratestuali. È cosa nota che, dal momento che alcuni capitoli dei Versi Satanici contengono una versione romanzata del profeta Maometto, l'imam Ruhollah Khomeyni, all'epoca guida suprema dell'Iran, lanciò una fatwa contro l'autore, Salman Rushdie, condannandolo a morte per eresia e promettendo una taglia da capogiro all'eventuale boia. Viste le continue minacce, il governo britannico assegnò la scorta a Rushdie. Purtroppo, lui non era l'unico nel mirino dei fondamentalisti islamici. L'editore norvegese e il traduttore italiano riuscirono a scampare agli attentati. Il traduttore giapponese fu più sfortunato e venne pugnalato a morte nel suo ufficio. Di tutto questo se ne è parlato e, per molto tempo, si è parlato solo di questo.
Ancora più tristemente, si è smesso di parlare del tutto dei Versi Satanici. Una volta eravamo volterianamente difensori della libertà d'espressione nostra e altrui, eravamo tutti Charlí Hebdó anche se non lo avevamo mai sfogliato in vita nostra, libera chiesa in libero stato, almeno in teoria, ma soprattutto liberi stati dalle chiese altrui. Poi un giorno ci siamo svegliati vergognandoci di noi stessi, troppa libertà!, e sentendoci in colpa per tutti i mali del mondo. Là dove non siamo stati più capaci di criticare, o comprendere, abbiamo preferito il silenzio. Adesso, quando si parla si Salman Rushdie, si dice che sì, I Figli della Mezzanotte è bellissimo, bellissimo, bellissimo! E gli altri romanzi: che bellezza, che fantasia! Con quello lo stile così visionario, eccentrico, eppure elegante, sofisticato e al tempo stesso godibilissimo. In fondo Rushdie è uno dei fondatori del realismo isterico - espressione che il critico James Wood aveva inventato per parlare dispregiativamente di Denti Bianchi, l'esordio di Zadie Smith e di cui proprio una giovanissima e orgogliosa Zadi Smith si riappropriò, nobilitandola. Si parla insomma di Rushdie, ma non dei suoi Versi Satanici. Ci siamo accorti che è un romanzo 'problematico', forse 'islamofobico', quindi non ne dobbiamo parlare più. Di leggerlo, non lo abbiamo mai letto. Va bene leggere Céline, perché lui era un genio. Chi se ne frega se era antisemita e collaborazionista? E poi è morto, quindi non c'è problema e, anzi, va letto. Va bene anche leggere Houellebecq, perché la voce del popolo, che è divina, ha decretato che anche lui è un genio, e mica è islamofobico e sessista, no, lui è 'satirico', è un 'pugno nello stomaco alla borghesia ben pensante', quindi va bene. Non è morto, però è brutto, quindi va letto, se no poi dicono in giro che sei bruttofobo. Invece il romanzo di Rushdie no, non va letto, non bisogna parlarne, va consegnato alla dimenticanza, perché è semplicemente inconcepibile, è semplicemente un'eresia che uno scrittore di origine indiana non ci parli dei poveri indiani sottomessi e colonizzati, non ci descrive le malie di una nazione soprannaturale e misticheggiante, ma è fieramente ateo e scrive per metterci in guardia dagli estremismi e dai fanatismi. Quello che fece Rushdie in questo romanzo, e che è molto di più e va molto più in là delle lamentele houellebecquiane, viene in un certo qual modo percepito come osceno, offensivo. Un peccato. Un'eresia.
Nell'agosto 2022, a distanza di più di trent'anni dalla fatwa, un fondamentalista islamico ha accoltellato Salman Rushdie durante un evento pubblico. All'epoca dei fatti, Rushdie aveva 75 anni. Siccome ha la pellaccia dura, è sopravvissuto, ma c'ha rimesso un occhio e il funzionamento di una mano. E chi ne ha parlato? In Italia sono stati in pochi a parlarne ed esporsi. Gli scrittori nostrani, poi, sembravano più impegnati a discutere della piccola politica di casa nostra, di Draghi, di Giorgia Meloni, perché si sa che gli scrittori devono essere 'impegnati', se no come la portano la pagnotta a casa? Poi magari di Salman Rushdie si tornerà a parlare quando sarà morto, visto che a quel punto toccherà santificarlo. Si leverà il lamento di prefiche addolorate che improvvisamente si scopriranno orfane, avranno perduto il loro scrittore preferito in assoluto, di cui hanno letto tutto tutto tutto, persino quel problematico romanzo islamofobico, che hanno letto, sì, anche se non ne hanno parlato. E poi, forse, fra un paio di secoli, finalmente qualche studioso si prenderà la briga di leggerlo davvero, I Versi Satanici, di commentarlo, studiarlo, discuterlo e amarlo.
Ferisce, questa situazione. Ed è anche molto deludente. Soprattutto, perché I Versi Satanici è un romanzo bellissimo. Cominciamo dal punto più controverso: Maometto. Ebbene, Maometto (o meglio, 'Mahound') appare solo in alcuni capitoli del libro. Quei capitoli raccontano dei sogni visionari di Gibreel, uno dei due protagonisti, che appunto sogna le vicende che hanno portato all'ascesa religiosa e politica di Mahound. Secondo quanto raccontato dal Corano, Satana sussurrò i suoi 'versi' al Profeta per indurlo in inganno. Lui, che di solito conversava con l'Altissimo, scambiò la voce del demonio per quella divina e si fece convincere ad accettare tre divinità pagane all'interno del pantheon della nuova religione, minando quindi le fondamenta del monoteismo, salvo poi accorgersi dell'inganno e rimangiarsi ciò che aveva decretato sotto inganno. Tutta questa storia, però, assieme a molte altre, sono rese da Rushdie in una chiave onirica, fantastica: c'è una città di sabbia, in cui il crimine più grande è versare l'acqua, perché ciò rischierebbe di distruggere ogni cosa; donne politiche e potentissime, da una parte, e dall'altra prostitute perdute in labirinti di veli e tendaggi, talmente abituate a interpretare qualcun altro da smarrire i confini fra la loro identità e quella dei loro personaggi; viaggiatori, commercianti, leoni rossi, vendette...
L'uso romanzesco di un episodio religioso ha, evidentemente, un'origine letterariamente nobile. Alcuni capitoli di Il Maestro e Margherita, di Mikail Bulgakov, parlavano del processo di Ponzio Pilato a Gesú Cristo. Quei capitoli non vogliono raccontare una qualche verità evangelica, ma costituiscono il manoscritto del Maestro, a tutti gli effetti un romanzo-nel-romanzo, proprio come la vicenda di Mahound nei Versi Satanici è contenuta nei sogni di uno dei personaggi e rappresenta una specie di romanzo-nel-romanzo. E come Bulgakov mescola religione, miti ed elementi fantastici per criticare i danni del sovietismo, così Rushdie mescola religione, miti ed elementi fantastici per criticare i danni del fondamentalismo.
I protagonisti sono Gibreel, quello dei sogni, divo di Bollywood dalla straordinaria bellezza, specializzato nell'interpretare parti di angeli e santi; e Chamcha, indiano trapiantato in Inghilterra, o meglio fuggito dall'India, anche lui attore, ma più della tradizione del teatro Shakespeariano. Questi due uomini così simili (entrambi indiani, entrambi attori) eppure così diversi (uno che ha fatto fortuna in casa, l'altro che quella casa l'ha rinnegata e si sente, a tutti gli effetti, inglese) si trovano in un aereo dirottato da un gruppo di estremisti. Quando questi ultimi decidono di farsi saltare per aria, Gibreel e Chamcha precipitano per diecimila metri e miracolosamente si salvano, venendo ritrovati da una vecchia signora in riva al Canale della Manica. A quel punto, succede un fatto inspiegabile. Mentre i sogni rivelatori di Gibreel diventano più vividi e frequenti, lui comincia ad 'angelizzarsi': gli spunta l'aureola, le persone si inginocchiano al suo passaggio, sta innegabilmente diventando l'Arcangelo Gabriele. Chamcha, invece, progressivamente si 'demonizza'. In Inghilterra, dove lui viveva e lavorava, non lo riconosce più nessuno, perché gli sono spuntate le corna, la coda, i peli dappertutto; sua moglie si è convinta della sua morte e si è messa con il suo miglior amico; e lui, il mefistofelizzato Chamcha, invece di sognare viene sognato dagli indiani, dai neri, dai poveri, da tutti gli esclusi di quella società inglese a cui lui, un tempo, voleva appartenere a tutti i costi.
Ma questa non è che la struttura di base, lo scheletro del plot, che già così appare un milione di volte più mirabolante e sofisticato delle trame miserabili di molti romanzetti da quattro soldi che vengono pubblicati al giorno d'oggi, capaci di raccontare solo il dolore di un lutto, il dolore di un abuso, il dolore di una malattia, il dolore di un lutto, un lutto, il dolore, il dolore, il dolore. I Versi Satanici è uno di quei romanzi incredibili e strabilianti capaci di raccontare la realtà attraverso la fantasia. Si parla di amore, di fede, di identità sociali e politiche, di gelosia, di amicizie tradite, del valore dell'arte, di patrie cercate, perdute, acquisite, adottate, della ferita degli immigrati. È un otto volante di emozioni, un turbinio di personaggi, situazioni, illuminazioni che danno il capogiro, come il buon vino. È un capolavoro. E spero che almeno fra qualche secolo verrà riscoperto.
n Rimasto solo, si rocordò subito che lui e Pamela erano stati un tempo in disaccordo, come su tutto il resto, su un racconto che avevano letto entrambi e che aveva appunto come tema la natura dell'imperdonabile. Un uomo e una donna erano stati amici intimi (ma non amanti) per tutta la loro vita d'adulti. Per il suo ventunesimo compleanno (allora erano tutti e due poveri), lei gli aveva regalato, per scherzo, il vaso di vetro più brutto e volgare che era riuscita a trovare, con colori che erano una parodia pacchiana della gaiezza veneziana. Venti anni dopo, quando entrambi avevano avuto successo e stavano diventando grigi, lei andò a trovarlo a casa sua e si mise a rimproverarlo per come aveva trattato un amico comune. Nel corso della lite, i suoi occhi si posarono sul vecchio vaso, che lui teneva ancora al posto d'onore sulla mensola del soggiorno, e senza interrompere la sua tirata, lo fece cadere sul pavimento dove si ruppe in mille pezzi. Da allora lui non le rivolse più la parola; e quando lei morì, cinquant'anni dopo, si rifiutò di andare a trovarla sul letto di morte o di assistere al suo funerale, bencé fossero arrivati dei messaggeri a dirgli che questo il suo desiderio più grande. "Ditele" dichiarò agli emissari, "che lei non ha mai saputo quanto era prezioso per me ciò che ha rotto". Gli emissari discussero, implorarono, s'arrabbiarono. Se lei non sapeva di quale significato lui aveva investito quella cosetta, come si poteva, oggettivamente, fargliene una colpa? E nel corso degli anni non aveva forse tentato infinite volte di scusarsi e di espiare? Adesso poi, perdio, stava morendo; non era possibile appianare questa antica e puerile divergenza? Avevano già perso tutta una vita d'amicizia; non potevano almeno dirsi addio? "No" disse l'implacabile uomo. "Ma è davvero per il vaso? O ci stai nascondendo qualcosa di più misterioso?" "È per il vaso" rispose lui. "Per il vaso e niente altro". Secondo Pamela, l'uomo era meschino e crudele. Ma Chamcha aveva già allora apprezzato la strana privacy, il carattere intimo e inspiegabile del problema. "Nessuno può valutare una ferita interiore dalle dimensioni di quella esteriore, del foro".n