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Il fardello del Novecento! Se alcuni eventi non si fossero verificati o si fossero verificati eventi diversi, la Storia avrebbe potuto avere un altro decorso?
Steve Erickson immagina, per il secolo breve, dei percorsi alternativi e costruisce una sorta di ucronia distopica. La narrazione si avvolge a spirale tra il 1901 e il 1989 senza seguire necessariamente la linearità temporale, né l’unità spaziale.
Pur cambiando il narratore, il protagonista principale è Banning Jainlight, un uomo non troppo sveglio, ma di dimensioni e forza eccezionali, quasi un Golem, sempre in fuga e la cui vita è intrisa di violenza che spesso può sembrare istintiva e gratuita; una violenza che lo stravolge dal di dentro e che Banning indica come devastazione, ma che è lo specchio della violenza che lo circonda, è la violenza del secolo e anche quella che da sempre è dell’Umanità, ”Sto attraversando la città a piedi. Potrei prendere il treno o un taxi, ma il fatto è che, be’, sento la devastazione nei piedi, la devastazione mi è tornata nel cuore. Nel giro di ventiquattro, quarantotto, settantadue ore ha iniziato a cambiare tutto, come a volte capita: Kronehelm se ne va, qualcuno mi cerca e io devo abituarmi alla devastazione dei tempi. Ma non ho ancora capito se la devastazione dei tempi è la stessa che ho dentro.”
Che racconti retrospettivamente la sua vita o che rifletta sul flusso della Storia, Banning è ben consapevole di attraversare il Novecento e le sue alternative ucroniche, ”Sto guardando il Novecento dalla finestra, ma non ho ancora modo di sapere se è il mio novecento o un altro, se il 1917 che vedo da quella finestra, il 1928 che vedo da questa e il 1989 che vedo dall’ultima sono gli stessi che conosco, ho conosciuto e conoscerò. […] A volte sono sicuro di vederlo tutto senza ostacoli, il Novecento dalla mia finestra. […] Quello che ho visto dalla finestra era l’altro Novecento che scorreva parallelo al mio, come il secondo ramo di un fiume tagliato in due da un’isola lunga e stretta: lo stesso fiume che bagna sponde diverse. Era il fiume del Novecento, tagliato in due nel momento in cui ti ho vista alla finestra di fronte al negozio di candele, mentre per strada infuriava il caos; il Novecento che ho visto oggi dalla mia finestra era quello in cui non ti vedevo.”
È con il Novecento la dimensione relativistica si adatta anche alle categorie morali del bene e del male e la figura di Einstein compare in due brevi e significativi passi: ”Quel secolo mi attirava mentre lo guardavo dalla finestra, perché in esso venivo assolto da parte della mia mostruosità; ma al tempo stesso sapevo che quella versione del Novecento era falsa. Che né il dominio del male né il suo tracollo potevano essere altro che un’aberrazione in quel secolo, perché si tratta del secolo in cui un altro tedesco, un ometto con i capelli bianchi arruffati, metteva per iscritto ogni Assoluto con la sua nuova poesia sfrenata; in cui l’orologio nero del secolo veniva privato di lancette e numeri. Un tempo in cui non esiste misura di tempo comprensibile a Dio. In un tempo simile i ricordi non significano altro che la frenesia che li inventa: prima di quei ricordi e al di là di quegli orologi, il bene vede il male come il passeggero di un treno che pur rimanendo immobile sembra filare via agli occhi della campagna. Era impossibile, tutto qui. È bello pensarlo, pensare che il male sia cedevole.
La devastazione che soggioga Banning alimenta anche le sue visioni e i suoi sogni e lo spinge a scrivere storie che virano dal pulp alla pornografia, storie che saranno oggetto di particolare attenzione da parte di Adolf Hitler, di cui diventa il pornografo personale.
La violenza, l’abuso e la colpa individuali si intersecano con quelle collettive, con la deificazione del capo, con l’orrore della persecuzione razziale e dei campi di sterminio; nella realtà storica alternativa Hitler resta in vita e raggiunge la vecchiaia con tutta la sua debolezza e fragilità e Banning, eludendo il controllo militare, riesce a trascinarlo con sé per la resa dei conti. È qui che si fa ardua la lotta tra la rivincita-vendetta e il riscatto-redenzione, tra il rendere evidente che un vecchio uomo, malato e indifeso è il responsabile dei peggiori e più aberranti crimini e che ucciderlo significherebbe sacrificare una parte di umanità e generare il feticcio, il simbolo del male, ”Steso ai miei piedi, il vecchio sanguina dal naso e dalle orecchie. Sono a un passo dal vuotare il sacco. Sono a un passo dal rivelare chi è, nell’improbabile eventualità che ci credano, è che ho bisogno di dirlo a qualcuno. Ma subito capisco che non lo farò. Non lo farò perché è meglio se si accaniscono contro di me, un uomo enorme e violento da una vita, e non contro un uomo vecchio, debole e malato. Perché esiste sempre l’atroce possibilità che mi credano, che guardandolo negli occhi si rendano conto che quella è la verità, e allora la pura e giusta ira che anima la loro lotta dovrebbe fare i conti con l’umanità del suo male. Combattono per un’età in cui il cuore e la coscienza non sono stati privati dei punti di riferimento che hanno finito per essere negati al tempo e allo spazio: osservando il sanguinoso test di Rorschach del Novecento vi hanno visto un fiore appena sbocciato. Non puoi, mi dico. Se nella tua vita farai soltanto una cosa buona, che sia questa, non distruggere le loro convinzioni, conferma con la tua forma mostruosa la loro idea di ciò che è mostruoso, e quindi di ciò che va difeso.”
I giri dell’orologio nero è senz’altro un libro dalla costruzione complessa ma nonostante ciò e le sue quattrocento pagine resta una lettura interessante, scorrevole e avvincente.
Steve Erickson immagina, per il secolo breve, dei percorsi alternativi e costruisce una sorta di ucronia distopica. La narrazione si avvolge a spirale tra il 1901 e il 1989 senza seguire necessariamente la linearità temporale, né l’unità spaziale.
Pur cambiando il narratore, il protagonista principale è Banning Jainlight, un uomo non troppo sveglio, ma di dimensioni e forza eccezionali, quasi un Golem, sempre in fuga e la cui vita è intrisa di violenza che spesso può sembrare istintiva e gratuita; una violenza che lo stravolge dal di dentro e che Banning indica come devastazione, ma che è lo specchio della violenza che lo circonda, è la violenza del secolo e anche quella che da sempre è dell’Umanità, ”Sto attraversando la città a piedi. Potrei prendere il treno o un taxi, ma il fatto è che, be’, sento la devastazione nei piedi, la devastazione mi è tornata nel cuore. Nel giro di ventiquattro, quarantotto, settantadue ore ha iniziato a cambiare tutto, come a volte capita: Kronehelm se ne va, qualcuno mi cerca e io devo abituarmi alla devastazione dei tempi. Ma non ho ancora capito se la devastazione dei tempi è la stessa che ho dentro.”
Che racconti retrospettivamente la sua vita o che rifletta sul flusso della Storia, Banning è ben consapevole di attraversare il Novecento e le sue alternative ucroniche, ”Sto guardando il Novecento dalla finestra, ma non ho ancora modo di sapere se è il mio novecento o un altro, se il 1917 che vedo da quella finestra, il 1928 che vedo da questa e il 1989 che vedo dall’ultima sono gli stessi che conosco, ho conosciuto e conoscerò. […] A volte sono sicuro di vederlo tutto senza ostacoli, il Novecento dalla mia finestra. […] Quello che ho visto dalla finestra era l’altro Novecento che scorreva parallelo al mio, come il secondo ramo di un fiume tagliato in due da un’isola lunga e stretta: lo stesso fiume che bagna sponde diverse. Era il fiume del Novecento, tagliato in due nel momento in cui ti ho vista alla finestra di fronte al negozio di candele, mentre per strada infuriava il caos; il Novecento che ho visto oggi dalla mia finestra era quello in cui non ti vedevo.”
È con il Novecento la dimensione relativistica si adatta anche alle categorie morali del bene e del male e la figura di Einstein compare in due brevi e significativi passi: ”Quel secolo mi attirava mentre lo guardavo dalla finestra, perché in esso venivo assolto da parte della mia mostruosità; ma al tempo stesso sapevo che quella versione del Novecento era falsa. Che né il dominio del male né il suo tracollo potevano essere altro che un’aberrazione in quel secolo, perché si tratta del secolo in cui un altro tedesco, un ometto con i capelli bianchi arruffati, metteva per iscritto ogni Assoluto con la sua nuova poesia sfrenata; in cui l’orologio nero del secolo veniva privato di lancette e numeri. Un tempo in cui non esiste misura di tempo comprensibile a Dio. In un tempo simile i ricordi non significano altro che la frenesia che li inventa: prima di quei ricordi e al di là di quegli orologi, il bene vede il male come il passeggero di un treno che pur rimanendo immobile sembra filare via agli occhi della campagna. Era impossibile, tutto qui. È bello pensarlo, pensare che il male sia cedevole.
La devastazione che soggioga Banning alimenta anche le sue visioni e i suoi sogni e lo spinge a scrivere storie che virano dal pulp alla pornografia, storie che saranno oggetto di particolare attenzione da parte di Adolf Hitler, di cui diventa il pornografo personale.
La violenza, l’abuso e la colpa individuali si intersecano con quelle collettive, con la deificazione del capo, con l’orrore della persecuzione razziale e dei campi di sterminio; nella realtà storica alternativa Hitler resta in vita e raggiunge la vecchiaia con tutta la sua debolezza e fragilità e Banning, eludendo il controllo militare, riesce a trascinarlo con sé per la resa dei conti. È qui che si fa ardua la lotta tra la rivincita-vendetta e il riscatto-redenzione, tra il rendere evidente che un vecchio uomo, malato e indifeso è il responsabile dei peggiori e più aberranti crimini e che ucciderlo significherebbe sacrificare una parte di umanità e generare il feticcio, il simbolo del male, ”Steso ai miei piedi, il vecchio sanguina dal naso e dalle orecchie. Sono a un passo dal vuotare il sacco. Sono a un passo dal rivelare chi è, nell’improbabile eventualità che ci credano, è che ho bisogno di dirlo a qualcuno. Ma subito capisco che non lo farò. Non lo farò perché è meglio se si accaniscono contro di me, un uomo enorme e violento da una vita, e non contro un uomo vecchio, debole e malato. Perché esiste sempre l’atroce possibilità che mi credano, che guardandolo negli occhi si rendano conto che quella è la verità, e allora la pura e giusta ira che anima la loro lotta dovrebbe fare i conti con l’umanità del suo male. Combattono per un’età in cui il cuore e la coscienza non sono stati privati dei punti di riferimento che hanno finito per essere negati al tempo e allo spazio: osservando il sanguinoso test di Rorschach del Novecento vi hanno visto un fiore appena sbocciato. Non puoi, mi dico. Se nella tua vita farai soltanto una cosa buona, che sia questa, non distruggere le loro convinzioni, conferma con la tua forma mostruosa la loro idea di ciò che è mostruoso, e quindi di ciò che va difeso.”
I giri dell’orologio nero è senz’altro un libro dalla costruzione complessa ma nonostante ciò e le sue quattrocento pagine resta una lettura interessante, scorrevole e avvincente.