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Ma Erickson è così…
Col contagocce, arriva anche in Italia un altro dei romanzi che compongono la scarna bibliografia di Steve Erickson, particolarmente inatteso in questo caso poiché si tratta di un’opera del 1989, che in ordine cronologico rappresenta il terzo libro dell’autore.
Ancora una volta si tratta di un romanzo inclassificabile, con una collocazione che va oltre le categorie letterarie consuete, attraversandole più o meno tutte con spavalda nonchalance, dalla distopia al thriller, dall’ucronia al romanzo d’azione, dal romanzo storico alla fantascienza e al bildungsroman e potrei aggiungerne altri perché “I giri dell’orologio nero” riesce ad essere anche romantico, violento, avventuroso, grottesco, decisamente surreale.
A questo punto mi ero cimentato nell’abbozzare quanto meno una traccia delle vicende narrate, ma sono andato in confusione (fra scrittori di pulp pornografici nella New York degli anni ‘30, nazisti che risalgono la scala gerarchica fino a Hitler in persona o forse un suo avatar ossessionato da un amore giovanile, foreste sudanesi, suicidi e infanticidi nella Vienna dell’Anschluss, fughe da prigioni veneziane, fratricidi in Pennsylvania, invasioni dell’Inghilterra da parte dell’esercito tedesco, isole fluviali in località imprecisate degli Usa dove un ambiguo traghettatore attende per decenni l’oggetto del desiderio, ecc)...e ho cancellato!
Va da sé che durante una lettura come questa ci si trova spesso “spaesati”, per usare un eufemismo, e se ne esce abbastanza sfibrati, pur con la consapevolezza di aver attraversato un territorio inesplorato, a tratti magnifico, a volte incomprensibile e (vedi sopra) indescrivibile. Al punto di dover resistere al segreto impulso di mandare Erickson a quel paese, ma anche al desiderio audace di ricominciare da pagina 1, non certo nell’intento di riuscire a comprendere tutto, ma quanto meno per ricollegare una parte dei fili narrativi smarriti nel corso della narrazione.
Ma Erickson è così, si tende a dimenticarlo per le sue uscite a cadenza quinquennale, offre pagine ed anche intere “sezioni” di intensa suggestione, filtrate da una sorta di caleidoscopio virtuale ed inserite in un labirinto narrativo che sempre ci sbalordisce; l’originale introduzione e la scrittura in apparenza lineare dapprima seducono il lettore poi, quasi a tradimento, a un certo punto (un punto che varia secondo la concentrazione, la pazienza e le esperienze pregresse con lo stile dell’autore) gran parte delle traballanti coordinate acquisite vengono sovvertite.
Però resta un gran bel viaggio!
(aggiungo sempre un’avvertenza: non si confonda l’autore col quasi omonimo Steve Erikson senza la “c”, ennesimo scrittore di saghe high fantasy, ovviamente ben più popolare del nostro.)
Col contagocce, arriva anche in Italia un altro dei romanzi che compongono la scarna bibliografia di Steve Erickson, particolarmente inatteso in questo caso poiché si tratta di un’opera del 1989, che in ordine cronologico rappresenta il terzo libro dell’autore.
Ancora una volta si tratta di un romanzo inclassificabile, con una collocazione che va oltre le categorie letterarie consuete, attraversandole più o meno tutte con spavalda nonchalance, dalla distopia al thriller, dall’ucronia al romanzo d’azione, dal romanzo storico alla fantascienza e al bildungsroman e potrei aggiungerne altri perché “I giri dell’orologio nero” riesce ad essere anche romantico, violento, avventuroso, grottesco, decisamente surreale.
A questo punto mi ero cimentato nell’abbozzare quanto meno una traccia delle vicende narrate, ma sono andato in confusione (fra scrittori di pulp pornografici nella New York degli anni ‘30, nazisti che risalgono la scala gerarchica fino a Hitler in persona o forse un suo avatar ossessionato da un amore giovanile, foreste sudanesi, suicidi e infanticidi nella Vienna dell’Anschluss, fughe da prigioni veneziane, fratricidi in Pennsylvania, invasioni dell’Inghilterra da parte dell’esercito tedesco, isole fluviali in località imprecisate degli Usa dove un ambiguo traghettatore attende per decenni l’oggetto del desiderio, ecc)...e ho cancellato!
Va da sé che durante una lettura come questa ci si trova spesso “spaesati”, per usare un eufemismo, e se ne esce abbastanza sfibrati, pur con la consapevolezza di aver attraversato un territorio inesplorato, a tratti magnifico, a volte incomprensibile e (vedi sopra) indescrivibile. Al punto di dover resistere al segreto impulso di mandare Erickson a quel paese, ma anche al desiderio audace di ricominciare da pagina 1, non certo nell’intento di riuscire a comprendere tutto, ma quanto meno per ricollegare una parte dei fili narrativi smarriti nel corso della narrazione.
Ma Erickson è così, si tende a dimenticarlo per le sue uscite a cadenza quinquennale, offre pagine ed anche intere “sezioni” di intensa suggestione, filtrate da una sorta di caleidoscopio virtuale ed inserite in un labirinto narrativo che sempre ci sbalordisce; l’originale introduzione e la scrittura in apparenza lineare dapprima seducono il lettore poi, quasi a tradimento, a un certo punto (un punto che varia secondo la concentrazione, la pazienza e le esperienze pregresse con lo stile dell’autore) gran parte delle traballanti coordinate acquisite vengono sovvertite.
Però resta un gran bel viaggio!
(aggiungo sempre un’avvertenza: non si confonda l’autore col quasi omonimo Steve Erikson senza la “c”, ennesimo scrittore di saghe high fantasy, ovviamente ben più popolare del nostro.)