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Recentemente mi sono imbattuta nel termine ‘ergodico’ (letteralmente deriva dal greco ergon, che vuol dire “lavoro”, e hodos, ovvero “via/percorso”): ergodica è quella letteratura che richiede al lettore uno sforzo in più, non solo a livello di contenuto, ma anche di forma. Chi si approccia a questo tipo di letteratura vi si deve immergere, deve faticare e sudare, deve capovolgere la propria visione (molto spesso in senso letterale, perché bisogna rivoltare il libro per leggervi tutto quello che c’è scritto). Ecco, Jimmy Corrigan. Il ragazzo più in gamba sulla terra è un lettura di questo tipo.
Jimmy è il classico ragazzo disadattato, un loser, chiuso in se stesso, incapace di esprimere una qualsiasi opinione o anche solo di rispondere alla domande più banali senza incorrere in silenzi imbarazzanti. Ovviamente ha difficoltà relazionali ed è vessato dalle morbose chiamate della madre, che non gli lascia un attimo di respiro. Il distacco tra Jimmy e il resto del mondo è chiaro anche dai disegni di Ware, che nella prima parte del libro offusca quasi sempre le facce degli altri personaggi con cui Jimmy si imbatte.
La sua routine fatta di lavoro e chiamate alla mamma viene spezzata quando riceve una lettera del padre, che lo invita da lui in Michigan per conoscerlo. Jimmy va all’incontro, sognando ad occhi aperti i vari individui che potrebbe trovarsi di fronte (tra cui un supereroe ovviamente: Superman). Non è però preparato ad incontrare un individuo inetto, insicuro, goffo, che non riesce a rimediare alla sua assenza con le parole (e nemmeno con i gesti aggiungerei, vedi il fallito tentativo di comporre un saluto mattutino col bacon, che può funzionare per la figlia adottiva, che ha accudito, ma che fallisce con Jimmy, incapace anche solo di comprenderlo come tentativo di avvicinamento).
Continuando nella lettura delle tavole scopriamo che Jimmy non è stato il primo Corrigan ad essere abbandonato, c’è stato prima il nonno, che dopo aver subito la durezza e la violenza del padre viene poi abbandonato in tenera età alla grande esposizione universale di Chicago del 1893. Il peccato del bisnonno viene quindi tramandato di generazione in generazione, e ogni Corrigan cerca come può di sopravvivervi (chi da vittima e chi da “carnefice”).
Ware riesce a ricamare un bellissimo e organico intreccio intergenerazionale sul rapporto padri/figli: c’è pochissimo di positivo in questi disegni, fatti soprattutto di abbandoni, silenzi, incapacità comunicative ed emotive. Ciò che sembra suggerire è che quello che rimane irrisolto nel passato torna, in un modo o nell’altro, a ripresentarsi nel presente, lasciando strascichi notevoli a chi di colpe non ne ha, ma deve subirne le conseguenze.
Jimmy è il classico ragazzo disadattato, un loser, chiuso in se stesso, incapace di esprimere una qualsiasi opinione o anche solo di rispondere alla domande più banali senza incorrere in silenzi imbarazzanti. Ovviamente ha difficoltà relazionali ed è vessato dalle morbose chiamate della madre, che non gli lascia un attimo di respiro. Il distacco tra Jimmy e il resto del mondo è chiaro anche dai disegni di Ware, che nella prima parte del libro offusca quasi sempre le facce degli altri personaggi con cui Jimmy si imbatte.
La sua routine fatta di lavoro e chiamate alla mamma viene spezzata quando riceve una lettera del padre, che lo invita da lui in Michigan per conoscerlo. Jimmy va all’incontro, sognando ad occhi aperti i vari individui che potrebbe trovarsi di fronte (tra cui un supereroe ovviamente: Superman). Non è però preparato ad incontrare un individuo inetto, insicuro, goffo, che non riesce a rimediare alla sua assenza con le parole (e nemmeno con i gesti aggiungerei, vedi il fallito tentativo di comporre un saluto mattutino col bacon, che può funzionare per la figlia adottiva, che ha accudito, ma che fallisce con Jimmy, incapace anche solo di comprenderlo come tentativo di avvicinamento).
Continuando nella lettura delle tavole scopriamo che Jimmy non è stato il primo Corrigan ad essere abbandonato, c’è stato prima il nonno, che dopo aver subito la durezza e la violenza del padre viene poi abbandonato in tenera età alla grande esposizione universale di Chicago del 1893. Il peccato del bisnonno viene quindi tramandato di generazione in generazione, e ogni Corrigan cerca come può di sopravvivervi (chi da vittima e chi da “carnefice”).
Ware riesce a ricamare un bellissimo e organico intreccio intergenerazionale sul rapporto padri/figli: c’è pochissimo di positivo in questi disegni, fatti soprattutto di abbandoni, silenzi, incapacità comunicative ed emotive. Ciò che sembra suggerire è che quello che rimane irrisolto nel passato torna, in un modo o nell’altro, a ripresentarsi nel presente, lasciando strascichi notevoli a chi di colpe non ne ha, ma deve subirne le conseguenze.