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Mettiamola così: opera prima di un (futuro) genio letterario – qui solo in nuce – di una bellezza strana, che io non ho saputo cogliere appieno. Il mio problema con questo libro è che l'ho letto dopo aver letto il bellissimo “Contro il giorno”, quindi viziata da un'aspettativa che sarebbe certo andata delusa. Cominciare dall'ultima opera di un autore e raffrontarla con un'opera prima è, di solito, un errore fatale. Ho ritrovato in V. le mille storie incastrate, i frammenti di vite e persone eterogenee, di epoche e luoghi diversi, tanto che non si capisce dove l'autore ci voglia portare. Questo accadeva anche in “Contro il giorno”, ma lì c'era una nostalgia per epoche che si andavano rivisitando, una malinconia e pessimismo cosmico struggenti, una critica al sistema occidentale e un'ironia spassosa che facevano vibrare corde profonde o divertire. Tutto questo qui non c'è.
C'è amore per la narrazione in sé, c'è la sua visione astorica della Storia (che non esiste, ma esiste il puzzle che ciascuno si costruisce con i pezzetti che gli capita di vivere); c'è l'amore per i derelitti, gli strani, ineffabili uomini dell'altra faccia dell'americano medio arrivato e consumista, c'è la simpatia per gli anarchici (perché fanno saltare in aria la Storia?) e per le spie (perché cercano di tesserne le trame, suppongo), ma nessuna delle tante storie narrate mi ha davvero coinvolta o divertita. Capisco comunque bene, perché al suo apparire V. fece gridare la critica all'Osanna. Un ventiseienne che scrive per frammenti, per visioni oniriche, per brandelli di vite grottesche, un po' strambe e che ha ben chiara in mente la sua visione di mondo (caotico, ineffabile, soggettivo), non può non destare interesse.
Per nostra fortuna la maturità ha arricchito questo scrittore geniale anche della capacità di coinvolgere, oltre che di tessere trame labirintiche, e di toccare nel profondo l'animo del lettore, cosa che, secondo me, lo fa passare da virtuoso della letteratura al grado di grande scrittore. Ma non ora, non qui.
C'è amore per la narrazione in sé, c'è la sua visione astorica della Storia (che non esiste, ma esiste il puzzle che ciascuno si costruisce con i pezzetti che gli capita di vivere); c'è l'amore per i derelitti, gli strani, ineffabili uomini dell'altra faccia dell'americano medio arrivato e consumista, c'è la simpatia per gli anarchici (perché fanno saltare in aria la Storia?) e per le spie (perché cercano di tesserne le trame, suppongo), ma nessuna delle tante storie narrate mi ha davvero coinvolta o divertita. Capisco comunque bene, perché al suo apparire V. fece gridare la critica all'Osanna. Un ventiseienne che scrive per frammenti, per visioni oniriche, per brandelli di vite grottesche, un po' strambe e che ha ben chiara in mente la sua visione di mondo (caotico, ineffabile, soggettivo), non può non destare interesse.
Per nostra fortuna la maturità ha arricchito questo scrittore geniale anche della capacità di coinvolgere, oltre che di tessere trame labirintiche, e di toccare nel profondo l'animo del lettore, cosa che, secondo me, lo fa passare da virtuoso della letteratura al grado di grande scrittore. Ma non ora, non qui.