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Ultimo di una trilogia di commedie chiamate “salottiere” segna per Oscar Wilde grande notorietà e successo fra il pubblico, ma molto meno successo con i critici, che non apprezzavano quel filo di ironia e di presa in giro della società alto borghese inglese dell’epoca, magari scritta da un “irlandese”. Ma Oscar Wilde rivela in quest’opera, come nelle altre due, una conoscenza perfetta dell’ambiente, perché ne ha avuto un riscontro personale nella vita quotidiana nei salotti londinesi. Quindi l’eleganza, il lusso, il buongusto non gli sono mai stati lontani e poi quelle espressioni argute, brillanti sono espresse in un inglese raffinato e perfetto. Ma quello che rende interessanti queste commedie e differenti da altre di autori dell’epoca e quel senso del “paradosso”, come è stato sottolineato da alcuni critici. Affermazioni o situazioni che sembra assolutamente rassicuranti ma che alla fine si rivelano assolutamente destabilizzanti. L’aspetto che piace a me poi è quella sottile ironia che aleggia su tutta l’opera e che investe i personaggi mettendo sottilmente in ridicolo le loro convinzioni e la loro personalità.