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Barnaby Rudge: A Tale of the Riots of Eighty, pubblicato da febbraio a novembre 1841, su «Master Humphrey’s Clock», in contemporanea con i capitoli di The Old Curiosity Shop.
All’inizio tutto è tenuto sul misterioso, molto notturno, con somma di segreti e cose non dette. Sempre molto attivo l’elemento satirico, caricaturale; con una serie di tipici flat characters, estremizzati (ad esempio John Willet, «the sturdy landlord» con «a large pair of dull fish-like eyes»: il locandiere grasso, lento fino alla catatonia, conservatore, teso al guadagno e dispotico verso il figlio; oppure Mrs Varden, bigotta protestante, moralista, dispotica col marito in versione passivo-aggressiva, con continui mutamenti capricciosi).
E sempre rinnovato è il gusto della descrizione elaborata da un punto di vista che permette a chi legge di vedere i personaggi per la prima volta, rinnovando ogni volta la piccola (a volte non così piccola) sorpresa di sapere solo dopo di chi si tratta, di conoscere al momento giusto il nome della persona.
Per tutta la prima parte, fino al secondo inizio dopo ellissi di cinque anni (per la precisione fino al capitolo 35, su 82) sembra che la storia non abbia proprio nulla a che fare con i Riots annunciati nel titolo (sono quelli del 1780, scatenati contro una legislazione meno punitiva verso i cattolici in Inghilterra), che poi invece diventano centrali. Molto rimane caricaturale anche quando arriva la parte politica: non personaggi realistici ma grande insistenza su tic, difetti, bizzarrie; personaggi grotteschi come Dennis (forse il più memorabile: boia professionista, virtuoso del mestiere, che continuamente parla con tecnicismi, estetica e valori della sua arte, incomprensibili per i ‘profani’ di quel nobile campo; tra i protagonisti della rivolta contro i papisti perché «My work is sound, Protestant, constitutional, English work»; costante occasione per dispiegare l’ironia di Dickens nella sua versione più nera e accusatoria).
Quando finalmente arriva il momento dei Riots, la narrazione li deplora in modo molto netto. Ma probabilmente le pagine migliori sono proprio quelle, a volte raggelanti, dove è protagonista la folla. Dickens l’assurdista, piacione nel dipingere caratteri pittoreschi per i suoi lettori che attendevano le puntatine, riesce a far sentire tutta la forza, la crudeltà, l’irrazionalità, la potenza attrattiva e lo sfrenamento della sommossa.
E si dovrebbero ancora ricordare molte cose. Mettiamo due: 1) la presenza gracchiante, a volte un po' inquietante a volte solo comica, di quel «knowing imp» e «dreadful fellow» del corvo Grip, migliore amico dell' "idiota" Barnaby (ispiratore a quanto pare del Raven di Poe). 2) la breve premessa di un capitolo, perfetta nel descrivere i privilegi del "cronista" come narratore onnisciente: «Chroniclers are privileged to enter where they list, to come and go through keyholes, to ride upon the wind, to overcome, in their soarings up and down all obstacle of distance, time, and place.»
All’inizio tutto è tenuto sul misterioso, molto notturno, con somma di segreti e cose non dette. Sempre molto attivo l’elemento satirico, caricaturale; con una serie di tipici flat characters, estremizzati (ad esempio John Willet, «the sturdy landlord» con «a large pair of dull fish-like eyes»: il locandiere grasso, lento fino alla catatonia, conservatore, teso al guadagno e dispotico verso il figlio; oppure Mrs Varden, bigotta protestante, moralista, dispotica col marito in versione passivo-aggressiva, con continui mutamenti capricciosi).
E sempre rinnovato è il gusto della descrizione elaborata da un punto di vista che permette a chi legge di vedere i personaggi per la prima volta, rinnovando ogni volta la piccola (a volte non così piccola) sorpresa di sapere solo dopo di chi si tratta, di conoscere al momento giusto il nome della persona.
Per tutta la prima parte, fino al secondo inizio dopo ellissi di cinque anni (per la precisione fino al capitolo 35, su 82) sembra che la storia non abbia proprio nulla a che fare con i Riots annunciati nel titolo (sono quelli del 1780, scatenati contro una legislazione meno punitiva verso i cattolici in Inghilterra), che poi invece diventano centrali. Molto rimane caricaturale anche quando arriva la parte politica: non personaggi realistici ma grande insistenza su tic, difetti, bizzarrie; personaggi grotteschi come Dennis (forse il più memorabile: boia professionista, virtuoso del mestiere, che continuamente parla con tecnicismi, estetica e valori della sua arte, incomprensibili per i ‘profani’ di quel nobile campo; tra i protagonisti della rivolta contro i papisti perché «My work is sound, Protestant, constitutional, English work»; costante occasione per dispiegare l’ironia di Dickens nella sua versione più nera e accusatoria).
Quando finalmente arriva il momento dei Riots, la narrazione li deplora in modo molto netto. Ma probabilmente le pagine migliori sono proprio quelle, a volte raggelanti, dove è protagonista la folla. Dickens l’assurdista, piacione nel dipingere caratteri pittoreschi per i suoi lettori che attendevano le puntatine, riesce a far sentire tutta la forza, la crudeltà, l’irrazionalità, la potenza attrattiva e lo sfrenamento della sommossa.
E si dovrebbero ancora ricordare molte cose. Mettiamo due: 1) la presenza gracchiante, a volte un po' inquietante a volte solo comica, di quel «knowing imp» e «dreadful fellow» del corvo Grip, migliore amico dell' "idiota" Barnaby (ispiratore a quanto pare del Raven di Poe). 2) la breve premessa di un capitolo, perfetta nel descrivere i privilegi del "cronista" come narratore onnisciente: «Chroniclers are privileged to enter where they list, to come and go through keyholes, to ride upon the wind, to overcome, in their soarings up and down all obstacle of distance, time, and place.»