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L'ho letto con insolita lentezza, assaporando riga dopo riga, soffermandomi sulle parole e seguendo suggestioni, rimandi e richiami. Ho letto le odi di Ricardo Reis, per ritrovarle tra i pensieri del protagonista di questo uno e mille libri al tempo stesso (come Pessoa?).
Già l'incipit, bellissimo, "Qui il mare finisce e la terra comincia", crea quell'atmosfera indefinita, sospesa tra sogno e realtà, che caratterizza l'intero romanzo. Una città reale, Lisbona, che l'acqua dell'oceano, del fiume e della pioggia, trasforma quasi in un'isola. E in effetti è su un'isola che vive Ricardo Reis, creatura di Pessoa, a lui sopravvissuto. Il mondo reale lo circonda, l'Europa sta per precipitare nel periodo più oscuro della sua storia, ma Ricardo Reis, quasi come Bernardo Soares alla finestra della sua stanza (Il libro dell'inquietudine) osserva attraverso il filtro dei giornali, “parole, notizie, è ciò che del mondo resta, l’altro resto è la parte di invenzione necessaria perché del suddetto mondo possa rimanere anche un volto, uno sguardo, un sorriso, un’agonia,”. E noi lo percepiamo anche attraverso gli occhi del direttore e del facchino dell'albergo in cui il protagonista si sistema inizialmente. E ancora dai racconti di Lidia, la cameriera che incarna un amore cantato nei versi che Ricardo ha scritto. Lidia e Marcenda (un nome o un "gerundio" significativo) sono le due figure femminili che Reis incontra e tra le quali il suo pensiero si divide: popolana e carnale una, di diversa educazione e livello sociale l'altra.
È il racconto di un Portogallo ancora solo sfiorato dai tragici eventi della Storia, con quella pioggia insistente che sembra confermare l'idea che la natura partecipi alle tragedie dell'uomo.
Ed è il sorprendente racconto di una solitudine disperata, bisogna capire che “la solitudine non è vivere da soli, la solitudine è il non essere capaci di fare compagnia a qualcuno o a qualcosa che sta dentro di noi, la solitudine non è un albero in mezzo a una pianura dove ci sia solo lui, è la distanza tra la linfa profonda e la corteccia, tra la foglia e la radice”
È una storia di distanze, “il muro che separa i vivi gli uni dagli altri non è meno opaco di quello che separa i vivi dai morti”; di confini indefiniti tra realtà e sogno, tra vita e morte, in questa città in cui i vivi e i morti camminano fianco a fianco (come nella Lisbona di Berger, "Qui, dove ci incontriamo"). Solo qui, infatti, è possibile che Fernando Pessoa, morto nel 1935, trascorra ancora qualche mese dopo la morte (una sorta di compensazione per i mesi che abbiamo trascorso nell'utero materno) e si rechi a incontrare Ricardo Reis, suo eteronimo.
Splendidi i dialoghi tra il grande poeta, scomparso “senza aver capito se è il poeta che si finge uomo o l’uomo che si finge poeta,” su vita, morte, io, tutte domande per le quali non esiste una risposta, così come “Non c’è risposta per il tempo, in esso siamo e assistiamo, niente più”. E il tempo li ingoia tutti e due, sfumando i contorni di Pessoa, finché non si avvieranno insieme verso il destino comune. Saramago ha concesso loro una proroga, un'indimenticabile opportunità di confronto.
Così com'era iniziata, la storia si conclude “Qui, dove il mare è finito e la terra attende.”
Già l'incipit, bellissimo, "Qui il mare finisce e la terra comincia", crea quell'atmosfera indefinita, sospesa tra sogno e realtà, che caratterizza l'intero romanzo. Una città reale, Lisbona, che l'acqua dell'oceano, del fiume e della pioggia, trasforma quasi in un'isola. E in effetti è su un'isola che vive Ricardo Reis, creatura di Pessoa, a lui sopravvissuto. Il mondo reale lo circonda, l'Europa sta per precipitare nel periodo più oscuro della sua storia, ma Ricardo Reis, quasi come Bernardo Soares alla finestra della sua stanza (Il libro dell'inquietudine) osserva attraverso il filtro dei giornali, “parole, notizie, è ciò che del mondo resta, l’altro resto è la parte di invenzione necessaria perché del suddetto mondo possa rimanere anche un volto, uno sguardo, un sorriso, un’agonia,”. E noi lo percepiamo anche attraverso gli occhi del direttore e del facchino dell'albergo in cui il protagonista si sistema inizialmente. E ancora dai racconti di Lidia, la cameriera che incarna un amore cantato nei versi che Ricardo ha scritto. Lidia e Marcenda (un nome o un "gerundio" significativo) sono le due figure femminili che Reis incontra e tra le quali il suo pensiero si divide: popolana e carnale una, di diversa educazione e livello sociale l'altra.
È il racconto di un Portogallo ancora solo sfiorato dai tragici eventi della Storia, con quella pioggia insistente che sembra confermare l'idea che la natura partecipi alle tragedie dell'uomo.
Ed è il sorprendente racconto di una solitudine disperata, bisogna capire che “la solitudine non è vivere da soli, la solitudine è il non essere capaci di fare compagnia a qualcuno o a qualcosa che sta dentro di noi, la solitudine non è un albero in mezzo a una pianura dove ci sia solo lui, è la distanza tra la linfa profonda e la corteccia, tra la foglia e la radice”
È una storia di distanze, “il muro che separa i vivi gli uni dagli altri non è meno opaco di quello che separa i vivi dai morti”; di confini indefiniti tra realtà e sogno, tra vita e morte, in questa città in cui i vivi e i morti camminano fianco a fianco (come nella Lisbona di Berger, "Qui, dove ci incontriamo"). Solo qui, infatti, è possibile che Fernando Pessoa, morto nel 1935, trascorra ancora qualche mese dopo la morte (una sorta di compensazione per i mesi che abbiamo trascorso nell'utero materno) e si rechi a incontrare Ricardo Reis, suo eteronimo.
Splendidi i dialoghi tra il grande poeta, scomparso “senza aver capito se è il poeta che si finge uomo o l’uomo che si finge poeta,” su vita, morte, io, tutte domande per le quali non esiste una risposta, così come “Non c’è risposta per il tempo, in esso siamo e assistiamo, niente più”. E il tempo li ingoia tutti e due, sfumando i contorni di Pessoa, finché non si avvieranno insieme verso il destino comune. Saramago ha concesso loro una proroga, un'indimenticabile opportunità di confronto.
Così com'era iniziata, la storia si conclude “Qui, dove il mare è finito e la terra attende.”