Il secondo romanzo di Cunningham si presenta come un avvincente saga familiare sullo sfondo della società americana del '900. Cento anni raccontati attraverso tre generazioni. Una famiglia, ed una miriade di personaggi diversi, con le loro storie, i loro pensieri, le loro ossessioni, paure, angosce. I loro amori traditi, quelli finiti, e quelli sopravvissuti.
Pur essendo il romanzo che mi piace di meno - la prima parte, relativa all'odioso capofamiglia, mi ha annoiato - è una grande prova di capacità letteraria. Tanto per cominciare, può sembrare una pretesa difficile ed ingenua quella di raccontare cento anni di storia americana attraverso le vicende di una famiglia. Eppure, Cunningham ci riesce benissimo. Ha una straordinaria capacità di regia: pur essendoci una dozzina di personaggi, riesce a muoverli tutti, a disporli sulla scena, senza dimenticarne qualcuno, tutti vengono sempre caratterizzati a dovere. Sono personaggi profondissimi e assolutamente tridimensionali, diversissimi tra di loro: la gamma delle emozioni umane che viene qui suscitata e rappresentata è praticamente infinita.
Per il resto, mi unisco alle critiche che sovente vengono espresse su questo romanzo: una minore eleganza rispetto a "Le Ore" - del resto, si tratta pur sempre del suo secondo romanzo - e soprattutto una certa esagerazione nelle vicende - si tocca continuamente il tragico.
E' comunque un romanzo che colpisce, che lascia qualcosa, e col tempo sono sicuro che, per la sua impressionante fotografia del novecento statunitense, il suo valore verrà esaltato.