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"La più grande felicità possibile..."
Un giorno. Tre donne. Lo leggo nell'ultimo giorno di giugno, una casualità. Virginia, fragile, sensibile, eterea, claustrofobica. La sua unica forza è nelle parole, catturate a fatica nella sua mente instabile e incerta. Non dà scampo per quel fluttuare con le tasche piene di sassi sull'acqua, come la Ofelia di Everett Millais, il cappotto che si gonfia, i piedi che affondano lenti. Clarissa, la simpatica signora Dalloway, una donna di mezza età, che della sua banale normalità di vita fa il fulcro della sua esistenza e non se ne cura. Guarda la bellezza del mondo, trova ancora bellezza nel mondo attorno a tutto quello che le grida morte e sorride. Un amore non vissuto e inseguito per tutta la vita, che si trasforma in un accudimento incessante e materno al suo caro Richard. Laura, la madre felice e infelice, la moglie insoddisfatta, che legge Virginia e che pensa alla morte con desiderio, quasi con liberazione. Che cosa hanno in comune queste donne? Le ore. Quelle trascorse, quelle ancora da trascorrere, meravigliose per la loro possibilità, per la capacità di essere riempite di tutto e di nulla, per le mille strade che schiudono davanti ai loro ( e ai nostri) occhi e che promettono tutto e niente: "Ecco: ora è qui. Ora se ne va. La pagina sta per essere girata". " Cerchi di conservare questo momento, provi ad abitarlo, provi ad amarlo perché è tuo". Fin dalle prime battute la scrittura è attenta, ben calibrata, si sente una ricerca della parola che scivola nell'immagine che è sublime: l'irregolarità della sponda di un argine che l'acqua riempie; i bombardieri che ronzano e non si vedono, la scelta della pietra fatale, i pescatori, il profumo erboso reso più acuto dalla resina dei pini; le foglie che luccicano su un albero in una mattina di New York sfavillante; il diavolo come una pinna che rompe la superficie delle onde scure; un appartamento come una nave affondata in cui si fluttua; un uccello morto come un guanto perso per terra. Ma la possibilità è vita o morte. Che cos'è l'ultima cosa che vede Virginia? Che cosa l'ultima cosa che sente attraverso il suo corpo? Sente l'amore per Leonard, unica terra su cui riposare. E le parole che lascia per lui sono una dichiarazione d'amore come ne ho lette poche nella vita: "Mi hai dato la più grande felicità possibile, sei stato in ogni senso tutto quanto potevi essere...ti devo tutta la felicità della mia vita...tutto mi ha abbandonato tranne la certezza della tua bontà, non credo che due persone avrebbero potuto essere più felici di quanto siamo stati noi..." Leonard non chiede quello che lei non può dare, accoglie e basta. "Se tu mi amassi farei qualunque cosa". No, non è vero. Se tu mi amassi io non avrei bisogno di dimostrarti l'amore che provo. Tu lo sapresti, e tutto il resto sarebbe inutile. ..
Un giorno. Tre donne. Lo leggo nell'ultimo giorno di giugno, una casualità. Virginia, fragile, sensibile, eterea, claustrofobica. La sua unica forza è nelle parole, catturate a fatica nella sua mente instabile e incerta. Non dà scampo per quel fluttuare con le tasche piene di sassi sull'acqua, come la Ofelia di Everett Millais, il cappotto che si gonfia, i piedi che affondano lenti. Clarissa, la simpatica signora Dalloway, una donna di mezza età, che della sua banale normalità di vita fa il fulcro della sua esistenza e non se ne cura. Guarda la bellezza del mondo, trova ancora bellezza nel mondo attorno a tutto quello che le grida morte e sorride. Un amore non vissuto e inseguito per tutta la vita, che si trasforma in un accudimento incessante e materno al suo caro Richard. Laura, la madre felice e infelice, la moglie insoddisfatta, che legge Virginia e che pensa alla morte con desiderio, quasi con liberazione. Che cosa hanno in comune queste donne? Le ore. Quelle trascorse, quelle ancora da trascorrere, meravigliose per la loro possibilità, per la capacità di essere riempite di tutto e di nulla, per le mille strade che schiudono davanti ai loro ( e ai nostri) occhi e che promettono tutto e niente: "Ecco: ora è qui. Ora se ne va. La pagina sta per essere girata". " Cerchi di conservare questo momento, provi ad abitarlo, provi ad amarlo perché è tuo". Fin dalle prime battute la scrittura è attenta, ben calibrata, si sente una ricerca della parola che scivola nell'immagine che è sublime: l'irregolarità della sponda di un argine che l'acqua riempie; i bombardieri che ronzano e non si vedono, la scelta della pietra fatale, i pescatori, il profumo erboso reso più acuto dalla resina dei pini; le foglie che luccicano su un albero in una mattina di New York sfavillante; il diavolo come una pinna che rompe la superficie delle onde scure; un appartamento come una nave affondata in cui si fluttua; un uccello morto come un guanto perso per terra. Ma la possibilità è vita o morte. Che cos'è l'ultima cosa che vede Virginia? Che cosa l'ultima cosa che sente attraverso il suo corpo? Sente l'amore per Leonard, unica terra su cui riposare. E le parole che lascia per lui sono una dichiarazione d'amore come ne ho lette poche nella vita: "Mi hai dato la più grande felicità possibile, sei stato in ogni senso tutto quanto potevi essere...ti devo tutta la felicità della mia vita...tutto mi ha abbandonato tranne la certezza della tua bontà, non credo che due persone avrebbero potuto essere più felici di quanto siamo stati noi..." Leonard non chiede quello che lei non può dare, accoglie e basta. "Se tu mi amassi farei qualunque cosa". No, non è vero. Se tu mi amassi io non avrei bisogno di dimostrarti l'amore che provo. Tu lo sapresti, e tutto il resto sarebbe inutile. ..