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Mi è piaciuto, ma non mi ha convinto.
A idee di fondo estremamente interessanti e "soluzioni" indubbiamente originali ai problemi della sovrappopolazione mondiale e della carenza di cibo che sono alla base della società distopica immaginata dall'autore, si accompagnano uno svolgimento della trama e soprattutto uno stile che ho trovato... molto poco armonici. Non è una seria e cruda distopia, né un romanzo di satira spinta che sceglie di portare avanti le sue critiche attraverso la comicità, ma un curioso miscuglio di entrambe che, a mio gusto personale, non funziona.
Questo il mio pensiero in sintesi; provo a elaborarlo meglio.
Le idee di fondo, come dicevo, sono molto interessanti. Prima tra tutte quelle della storia che si ripete in cicli sempre uguali: una fase in cui all'ottimismo e alla fiducia si accompagna un'applicazione blanda delle leggi, seguito da un momento di delusione collettiva che fa precipitare tutto nel caos e a cui lo stato risponde con severità e brutalità; infine, col ritorno all'ordine, si rientra anche nella normalità, ma la società ricostruita è macchiata da una profonda sfiducia nell'umanità tutta, che però poi man mano diminuisce fino ad essere sostituita da un nuovo ottimismo e così via...
Anche il pensiero che, di fronte alla necessità di combattere la sovrappopolazione mondiale, la società possa optare non solo per un rigido controllo delle nascite (un solo figlio a coppia, e se non lo fate è meglio!) ma anche per la promozione dell'omosessualità come il miglior stile di vita possibile, al punto che essa diventa l'unico modo di avere successo e fare carriera, ha un'originalità di fondo che la rende davvero interessante - anche se, purtroppo, l'intero romanzo è permeato di fatto da una forte e irritantissima omofobia.
Tuttavia, queste interessanti premesse non bastano. La società distopica in cui si muovono i protagonisti resta solo accennata, ma soprattutto non facciamo in tempo a capirne e assorbirne i meccanismi che subito la trama ci porta al passaggio successivo del ciclo storico, col precipitare della situazione nel caos.
Anche questa nuova fase è molto interessante, col cannibalismo che si fa risposta semplicissima e dunque unanimemente accettata al doppio problema della fame e del sovraffollamento, cui fa seguito la creazione di un corpo di polizia brutale e assassino come risposta da parte dello stato. Ma, ancora una volta, non facciamo in tempo a capacitarci delle atrocità che leggiamo, che di nuovo il ciclo fa un passo avanti e si va incontro, non senza assistere a nuove atrocità, a un graduale ritorno alla "normalità".
L'ultima parte del romanzo è forse la più interessante e anche la più riuscita di tutte, una sorta di riscrittura da parte di Burgess della Grande Guerra, una critica spietata e dolorosa che non può non restare impressa nella mente del lettore. Però dura poco, e soprattutto appare come slegata tematicamente dal resto del romanzo.
Insomma, a me è parso che Burgess, in questo romanzo, ci abbia voluto mettere troppo e in troppe poche pagine.
Non solo: la durezza dei temi trattati, delle idee portate avanti, delle immagini che ci vengono mostrate, degli episodi che ci vengono descritti e dei dialoghi che sentiamo pronunciare non si armonizza bene, a mio avviso, con il contrappunto grottesco se non comico che l'autore inserisce molto spesso tra una pagina e l'altra. Numerosissimi sono i personaggi-macchietta che popolano la storia, che sono sì un ulteriore strumento che l'autore utilizza per portare avanti la sua critica totale alla società umana tutta, ma che si fanno protagonisti di mini-sketch quasi comici che si alternano, senza soluzione di continuità, a episodi brutalissimi e riflessioni profonde del nostro protagonista intellettuale ma fondamentalmente sfigato.
Qualcuno potrebbe obiettare: e non è forse fatta così, in fondo, la vita? Forse sì, è vero, ma ciò che a me non è piaciuto non è tanto l'alternanza di serietà e comicità, di violenza e grottesco, di riflessioni e pietismi, ma la mancanza di armonia con il quale questa alternanza è condotta.
Non so, non avendo provato a leggere brani del testo in lingua originale e non avendo ancora letto nient'altro di Burgess, se "il problema" sta nello stile proprio dell'autore o nella traduzione italiana. Fatto sta che, a fronte di una sintassi prevalentemente piana e semplice, spuntano continuamente fuori termini altolocati, desueti, elevati che ho trovato spesso fuori contesto; il tono, poi, cambia di continuo, passando da serio a faceto senza preavviso e senza coerenza. Infine (e questa è sicuramente una scelta di traduzione) ho trovato poco felice la decisione di ricorrere a singoli specifici dialetti regionali italiani per caratterizzare i personaggi di ceto basso o incolti, quando un più semplice e soprattutto generico italiano sgrammaticato avrebbe reso meglio l'idea ed evitato un nuovo, ulteriore e disarmonico contrasto.
Insomma, come dicevo: il romanzo manca di armonia - nello stile e nella trama - non riuscendo dunque a fare giustizia (secondo me, eh!) alle idee interessanti che gli fanno da sfondo (e che, per fortuna, possiamo ritenere superate, nel senso che questo possibile futuro ce lo siamo messi alle spalle: del resto i figli abbiamo smesso di farli senza che nessuno ce lo chiedesse e imponesse, e la curva demografica è in calo... ma questo è un altro discorso).
A idee di fondo estremamente interessanti e "soluzioni" indubbiamente originali ai problemi della sovrappopolazione mondiale e della carenza di cibo che sono alla base della società distopica immaginata dall'autore, si accompagnano uno svolgimento della trama e soprattutto uno stile che ho trovato... molto poco armonici. Non è una seria e cruda distopia, né un romanzo di satira spinta che sceglie di portare avanti le sue critiche attraverso la comicità, ma un curioso miscuglio di entrambe che, a mio gusto personale, non funziona.
Questo il mio pensiero in sintesi; provo a elaborarlo meglio.
Le idee di fondo, come dicevo, sono molto interessanti. Prima tra tutte quelle della storia che si ripete in cicli sempre uguali: una fase in cui all'ottimismo e alla fiducia si accompagna un'applicazione blanda delle leggi, seguito da un momento di delusione collettiva che fa precipitare tutto nel caos e a cui lo stato risponde con severità e brutalità; infine, col ritorno all'ordine, si rientra anche nella normalità, ma la società ricostruita è macchiata da una profonda sfiducia nell'umanità tutta, che però poi man mano diminuisce fino ad essere sostituita da un nuovo ottimismo e così via...
Anche il pensiero che, di fronte alla necessità di combattere la sovrappopolazione mondiale, la società possa optare non solo per un rigido controllo delle nascite (un solo figlio a coppia, e se non lo fate è meglio!) ma anche per la promozione dell'omosessualità come il miglior stile di vita possibile, al punto che essa diventa l'unico modo di avere successo e fare carriera, ha un'originalità di fondo che la rende davvero interessante - anche se, purtroppo, l'intero romanzo è permeato di fatto da una forte e irritantissima omofobia.
Tuttavia, queste interessanti premesse non bastano. La società distopica in cui si muovono i protagonisti resta solo accennata, ma soprattutto non facciamo in tempo a capirne e assorbirne i meccanismi che subito la trama ci porta al passaggio successivo del ciclo storico, col precipitare della situazione nel caos.
Anche questa nuova fase è molto interessante, col cannibalismo che si fa risposta semplicissima e dunque unanimemente accettata al doppio problema della fame e del sovraffollamento, cui fa seguito la creazione di un corpo di polizia brutale e assassino come risposta da parte dello stato. Ma, ancora una volta, non facciamo in tempo a capacitarci delle atrocità che leggiamo, che di nuovo il ciclo fa un passo avanti e si va incontro, non senza assistere a nuove atrocità, a un graduale ritorno alla "normalità".
L'ultima parte del romanzo è forse la più interessante e anche la più riuscita di tutte, una sorta di riscrittura da parte di Burgess della Grande Guerra, una critica spietata e dolorosa che non può non restare impressa nella mente del lettore. Però dura poco, e soprattutto appare come slegata tematicamente dal resto del romanzo.
Insomma, a me è parso che Burgess, in questo romanzo, ci abbia voluto mettere troppo e in troppe poche pagine.
Non solo: la durezza dei temi trattati, delle idee portate avanti, delle immagini che ci vengono mostrate, degli episodi che ci vengono descritti e dei dialoghi che sentiamo pronunciare non si armonizza bene, a mio avviso, con il contrappunto grottesco se non comico che l'autore inserisce molto spesso tra una pagina e l'altra. Numerosissimi sono i personaggi-macchietta che popolano la storia, che sono sì un ulteriore strumento che l'autore utilizza per portare avanti la sua critica totale alla società umana tutta, ma che si fanno protagonisti di mini-sketch quasi comici che si alternano, senza soluzione di continuità, a episodi brutalissimi e riflessioni profonde del nostro protagonista intellettuale ma fondamentalmente sfigato.
Qualcuno potrebbe obiettare: e non è forse fatta così, in fondo, la vita? Forse sì, è vero, ma ciò che a me non è piaciuto non è tanto l'alternanza di serietà e comicità, di violenza e grottesco, di riflessioni e pietismi, ma la mancanza di armonia con il quale questa alternanza è condotta.
Non so, non avendo provato a leggere brani del testo in lingua originale e non avendo ancora letto nient'altro di Burgess, se "il problema" sta nello stile proprio dell'autore o nella traduzione italiana. Fatto sta che, a fronte di una sintassi prevalentemente piana e semplice, spuntano continuamente fuori termini altolocati, desueti, elevati che ho trovato spesso fuori contesto; il tono, poi, cambia di continuo, passando da serio a faceto senza preavviso e senza coerenza. Infine (e questa è sicuramente una scelta di traduzione) ho trovato poco felice la decisione di ricorrere a singoli specifici dialetti regionali italiani per caratterizzare i personaggi di ceto basso o incolti, quando un più semplice e soprattutto generico italiano sgrammaticato avrebbe reso meglio l'idea ed evitato un nuovo, ulteriore e disarmonico contrasto.
Insomma, come dicevo: il romanzo manca di armonia - nello stile e nella trama - non riuscendo dunque a fare giustizia (secondo me, eh!) alle idee interessanti che gli fanno da sfondo (e che, per fortuna, possiamo ritenere superate, nel senso che questo possibile futuro ce lo siamo messi alle spalle: del resto i figli abbiamo smesso di farli senza che nessuno ce lo chiedesse e imponesse, e la curva demografica è in calo... ma questo è un altro discorso).