Chiedo scusa in anticipo a tutti coloro che amano questo libro e che lo considerano un capolavoro: in questo mio commento sarò sarcastica, forse anche un po' acida, ma non offensiva. A me non è piaciuto per niente. Un anno fa avevo assegnato una stellina singola a La forma dell'acqua di Del Toro e Kraus, e ora mi ritrovo a leggere la stessa identica zuppa. Potrei darne due, di stelle, a Dick, visto che la zuppa l'ha scritta per primo: però poi dovrei di nuovo togliergliene una perché nella scrittura è stato ancor meno accurato dei due di cui sopra; ed inoltre il duo DelToro&Kraus riesce a risollevarsi leggermente con un piccolo guizzo inaspettato nel finale, mentre Dick nel finale riesce solo ad arrotolarsi su sé stesso in un presunto ermetismo che al Guardian suona come complessità filosofica ma a me, povera ignorante, suona come vuoto pneumatico.
Alcuni giorni fa mi era capitato di riandare con la mente ad un racconto di Asimov che avevo amato particolarmente: Consolazione garantita, e così ho iniziato a leggere questo libro sperando di trovarvi una qualche assonanza. E invece niente, nemmeno l'ombra di un'emozione in comune, tant'è che alla fine sono tornata direttamente a rileggermi Asimov, cosa che avrei dovuto fare sin dall'inizio. Mi sono sentita come quel tizio della barzelletta che a fine giornata, togliendosi le scarpe tanto più strette della sua misura, prova un sollievo altrettanto maggiore.
Il romanzo risente chiaramente dei suoi anni: come giustamente osserva @Roberto, il robot umanoide o androide era un'ossessione tipica degli anni sessanta in cui fu scritto, e leggere nel 2019 di una storia che ambienta nel 1992 un ipotetico futuro il quale però sa già di stantio perché è già stato superato dalla realtà, sia nelle tecnologie esistenti che nel tipo di visioni rivolte al futuro, tutto questo crea uno sfasamento spiacevole. Per spiegarmi meglio, sottolineo il paradosso: il capolavoro di Zamjatin, Noi, pur essendo scritto cento anni fa, e dunque ben più anziano di questo di Dick, è molto più moderno e non risente di alcuno sfasamento di obsolescenza della futuribilità. Del resto, l'androide è presente anche nel racconto di Asimov che ho appena indicato, e dunque l'invecchiamento precoce non sta tanto nella presenza degli androidi in sé, quanto nello sviluppo della trama.
Le pecche più gravi sono l'incoerenza e la goffaggine, sia nella trama che nella scrittura. Incoerenza non con la realtà, visto che Dick sta inventando una storia di fantasia, come si suol dire: suo il castello, sue le regole. Ma non sa essere coerente nemmeno con sé stesso: un minuto prima l'androide Rachael non sapeva di essere lei stessa un androide, e un minuto dopo è lei che spiega con aria saputa mille cose a proposito degli androidi, proprio come se sapesse da sempre di esserlo. Un minuto prima Rick vuole fare sesso con sua moglie, un minuto dopo vuole andare con l'androide, e dopo un minuto ancora mentre è con l'androide dice che deve andare da sua moglie. Un minuto prima fa saltare la testa ad un androide e schizzano via circuiti elettrici, ma un momento dopo per distinguere un androide da un umano bisogna fargli un'analisi del midollo. Da un lato si parla dell'esistenza di androidi che non sanno di essere tali, ma dall'altro si accenna al fatto che essi non sentono il bisogno di nutrirsi come gli umani. Un minuto prima essi sono algidi e perfetti e impenetrabili calcolatori, e un minuto dopo sono in grado di commettere lapsus e sfornare battute. Gli androidi evasi da Marte hanno avuto il tempo di nascondersi, insediarsi sulla terra, insinuarsi nel corpo di polizia addirittura costituendo una centrale parallela a quella vera, uno di loro è divenuto una famosa cantante lirica perciò si suppone che il raggiungimento della fama abbia richiesto un periodo di mesi se non di anni, però a un certo punto dicono che "è stato un viaggio faticoso" alludendo al fatto di essere arrivati sulla terra praticamente poche ore prima. E via discorrendo, potrei andare avanti con una lista infinita di esempi di incoerenze tutte interne alla trama. Tanto per fare un altro paragone: la Niffenegger, molto meno osannata di Dick, ne La moglie dell'uomo che viaggiava nel tempo si inventa una cosa ancora più astrusa dell'androide: un tizio che viaggia nel tempo a causa di una sorta di epilessia. Ma una volta stabilite le regole della malattia (o super-potere, o lo si può definire come si vuole), le rispetta e le mantiene fino alla fine del romanzo, e anzi proprio su quelle costruisce trama e finale.
La goffaggine deriva, oltre che dagli improvvisi salti di logica, anche dal modo sbrigativo con cui si descrive un mondo che invece richiederebbe mille dettagli in più. A metà strada tra la pedante spiegazione scolastico-didascalica e la sbrigativa e goffa omissione, dovrebbe pur esserci qualcosa. Dovrebbe trasmettere l'angoscia dei sopravvissuti e del disastro post-nucleare, ma io ho percepito solo un'aria compiaciuta derivante dal mettere al centro di tutto la distopia in sé, un disastro fine a sé stesso ma che non trasmette mai veramente l'angoscia al lettore. Un precursore del shabby chic interior design, ma questa roba va bene per la sceneggiatura dei videoclip di Madonna, non per un romanzo che dovrebbe potersi definire "epocale" e "capolavoro". Non fa che parlare di empatia, ma intanto non c'è un personaggio o un dettaglio con cui si possa entrare in empatia, e del resto nemmeno in totale dispatia, solo fredda distanza. Prefazione e postfazione non fanno che decantare i grandi pregi filosofici di questo romanzo ma io non vi ho trovato alcuna filosofia: solo il buono contro i cattivi, con il più cattivo lasciato per ultimo, come accade regolarmente in ogni buon cartoon giapponese o in ogni videogame con il mostro alla fine di ogni livello. E se per caso il lettore non se ne fosse accorto, è il narratore stesso a farglielo notare in maniera esplicita: il più cattivo resta per ultimo... caspita, che originalità! E come se non bastasse, la scrittura è di una piattezza disarmante (anche se in questo caso bisognerebbe sempre sapere qual è il concorso di colpa della traduzione...). Cito solo un esempio, il momento in cui la sciatteria della scrittura giunge al parossismo, a pagina 239: "una collina affollata gli si parò dinanzi". Ma come fa a essere affollata, mi dico, se tre righe sopra parlava di una zona desertica, "uniformemente grigia e cosparsa di rifiuti"?. La collina è affollata ma semplicemente non si sa, non si dice di cosa: di persone? Di abitazioni? Di massi e pietre? Di rifiuti? Di animali? Amen: ho tirato fino in fondo giusto perché mancavano solo poche pagine.
Il paragone con il geniale Asimov di cui sopra risulta a dir poco impietoso: mentre Dick per spiegarsi ha bisogno di goffe e contorte evoluzioni e circonvoluzioni con l'empatia, gli istinti predatori, la religione e quant'altro; Asimov in poche paginette, senza nessunissimo bisogno di indulgere e impressionare con drammatici scenari post-apocalittici, dipinge il quadro fantascientifico mettendo veramente al centro le reazioni psicologiche dell'uomo nella loro semplicità, dunque costruendo qualcosa di futuribile utilizzando mattoncini tanto antichi quanto elementari.
Dick bocciato su tutta la linea, eccomi servita un'altra sonora e deludente batosta.