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Se la logica è la scienza propedeutica ad ogni possibile conoscenza, il Logicon è il linguaggio scientifico in cui riflettersi (e/o su cui riflettere) per riuscire ad interpretare le proprie avventure.
Le avventure (che si svolgono nei primi 12 capitoli) sono quelle dell'adolescente Billy Twillig , geniale premio Nobel per la matematica (il premio non esiste ma è stato appositamente inventato per l'occasione) chiamato a decifrare un codice proveniente dalla presunta stella di Ratner, si succedono all'interno di una costruzione cicloide collocata in mezzo al deserto, una struttura per metà sotterranea e per metà superficiale. Qui, attraverso lo sguardo ingenuo di Billy, DeLillo descrive personaggi bizzarri e surreali (premi Nobel) dannatamente perduti nelle loro stesse ambiziose ricerche lunghe una vita intera, e sembra voler dire alla comunità scientifica (forse un po' presuntuosa negli anni '70) che il profondo e il superficiale, il visibile e l'invisibile, il lato oscuro e il luminoso, il contenuto e il contenitore, non sono una questione meramente numerica, ma c'è forse dell'altro...
"C'è una vita dentro questa vita. Un riempire vuoti. Tra gli spazi c'è qualcosa. Io sono diverso da questo. Non sono solo questo, sono di più. In me c'è altro, che non so come raggiungere. Appena al di fuori della mia portata c'è qualcos'altro che appartiene al resto di me. Non so come chiamarlo, né come raggiungerlo. Però c'è. Io sono più di quello che sapete. Ma è uno spazio troppo strano per riuscire ad attraversarlo. Non ci posso arrivare, ma so che c'è, e che ci si potrebbe arrivare. Dall'altra parte è dove si è liberi. Se solo riuscissi a ricordarmi com'era la luce in quello spazio prima che avessi occhi per vederla. Quando al posto dei miei occhi c'era una poltiglia. Quand'ero tessuto grondante. C'è qualcosa nello spazio tra ciò che so e ciò che sono, e ciò che riempie questo spazio è ciò per cui so che non esistono parole.
...e per vederlo, bisogna bucare la superficie piatta dello specchio, analizzarne i riflessi senza finzione.
"Solo avvicinandosi alla superficie riflettente di una porta elettronica che si stava aprendo si accorse di avere ancora in faccia i baffi finti"
I riflessi (che occupano la seconda parte del libro) sono lo specchio da decifrare, il Logicon - da analizzare scrivere accrescere - che sembra giustificare l'esistenza delle avventure senza però riuscire a spiegarne l'arco vitale.
Con continui rimandi all'infinitamente grande e all'infinitamente piccolo, un linguaggio molto complesso, onirico, visionario, spesso ostico e a tratti grottesco, DeLillo crea una "grammatematica" (passatemi il termine) a tratti difficilmente comprensibile che, caratteristica peculiare di questo romanzo, lo rende trasversale rispetto alla maggior parte dei suoi lavori.
In conclusione, dopo aver passato una moltitudine di pagine a cercare una spiegazione all'esistere e all'esistenza, ci abbandoniamo insieme a DeLillo all'accettazione realistica dell'incomprensibile...
"Continuò a scavare il buco del buco. I suoni che emetteva divennero gradualmente più elementari e rozzi. Avanzò, sapendo, grattò, affondò le dita nella terra dura, ovunque, sentendola, una sensazione di opposti interdipendenti, il paradosso, la commedia, il principio di radiosità totale dello stolto. [..] In superficie si muoveva intanto un'altra figura, quest'ultima a bordo di un triciclo bianco [..] pedalando furiosamente, un ragazzino un po' troppo grosso per il mezzo di trasporto che si era scelto. [..] Mentre si avvicinava al buco una porzione di oscurità delimitata transitò su di lui, che subito dopo si ritrovò a pedalare in uno spazio bianco tra le fasce d'ombra che precedono un'eclissi solare totale. Quell'intervallo di candore, che sembrava suggerire lo spazio tra due linee perfettamante rette, lo spinse a suonare il campanello metallico. Non produsse alcun suono, o almeno lui non ne sentì alcuno, intento com'era a ridere, ora cancellato, ora costeggiato da fasce d'ombra, intento com'era a produrre un rumore che ricordava una risata, a esprimere vocalmente quella che pareva un'emozione incontenibile, intento com'era a gridare, ad ansimare nel silenzio, intento com'era a emettere una serie di strilli involontari, particelle che rimbalzavano nell'aria intorno a lui, la polvere riproduttiva dell'esistenza."
...dove l'unica soluzione umana possibile sembra lo sciogliersi in un'abbraccio cosmico con il lato oscuro nostro e dell'universo.
Ma non senza fatica.
Le avventure (che si svolgono nei primi 12 capitoli) sono quelle dell'adolescente Billy Twillig , geniale premio Nobel per la matematica (il premio non esiste ma è stato appositamente inventato per l'occasione) chiamato a decifrare un codice proveniente dalla presunta stella di Ratner, si succedono all'interno di una costruzione cicloide collocata in mezzo al deserto, una struttura per metà sotterranea e per metà superficiale. Qui, attraverso lo sguardo ingenuo di Billy, DeLillo descrive personaggi bizzarri e surreali (premi Nobel) dannatamente perduti nelle loro stesse ambiziose ricerche lunghe una vita intera, e sembra voler dire alla comunità scientifica (forse un po' presuntuosa negli anni '70) che il profondo e il superficiale, il visibile e l'invisibile, il lato oscuro e il luminoso, il contenuto e il contenitore, non sono una questione meramente numerica, ma c'è forse dell'altro...
"C'è una vita dentro questa vita. Un riempire vuoti. Tra gli spazi c'è qualcosa. Io sono diverso da questo. Non sono solo questo, sono di più. In me c'è altro, che non so come raggiungere. Appena al di fuori della mia portata c'è qualcos'altro che appartiene al resto di me. Non so come chiamarlo, né come raggiungerlo. Però c'è. Io sono più di quello che sapete. Ma è uno spazio troppo strano per riuscire ad attraversarlo. Non ci posso arrivare, ma so che c'è, e che ci si potrebbe arrivare. Dall'altra parte è dove si è liberi. Se solo riuscissi a ricordarmi com'era la luce in quello spazio prima che avessi occhi per vederla. Quando al posto dei miei occhi c'era una poltiglia. Quand'ero tessuto grondante. C'è qualcosa nello spazio tra ciò che so e ciò che sono, e ciò che riempie questo spazio è ciò per cui so che non esistono parole.
...e per vederlo, bisogna bucare la superficie piatta dello specchio, analizzarne i riflessi senza finzione.
"Solo avvicinandosi alla superficie riflettente di una porta elettronica che si stava aprendo si accorse di avere ancora in faccia i baffi finti"
I riflessi (che occupano la seconda parte del libro) sono lo specchio da decifrare, il Logicon - da analizzare scrivere accrescere - che sembra giustificare l'esistenza delle avventure senza però riuscire a spiegarne l'arco vitale.
Con continui rimandi all'infinitamente grande e all'infinitamente piccolo, un linguaggio molto complesso, onirico, visionario, spesso ostico e a tratti grottesco, DeLillo crea una "grammatematica" (passatemi il termine) a tratti difficilmente comprensibile che, caratteristica peculiare di questo romanzo, lo rende trasversale rispetto alla maggior parte dei suoi lavori.
In conclusione, dopo aver passato una moltitudine di pagine a cercare una spiegazione all'esistere e all'esistenza, ci abbandoniamo insieme a DeLillo all'accettazione realistica dell'incomprensibile...
"Continuò a scavare il buco del buco. I suoni che emetteva divennero gradualmente più elementari e rozzi. Avanzò, sapendo, grattò, affondò le dita nella terra dura, ovunque, sentendola, una sensazione di opposti interdipendenti, il paradosso, la commedia, il principio di radiosità totale dello stolto. [..] In superficie si muoveva intanto un'altra figura, quest'ultima a bordo di un triciclo bianco [..] pedalando furiosamente, un ragazzino un po' troppo grosso per il mezzo di trasporto che si era scelto. [..] Mentre si avvicinava al buco una porzione di oscurità delimitata transitò su di lui, che subito dopo si ritrovò a pedalare in uno spazio bianco tra le fasce d'ombra che precedono un'eclissi solare totale. Quell'intervallo di candore, che sembrava suggerire lo spazio tra due linee perfettamante rette, lo spinse a suonare il campanello metallico. Non produsse alcun suono, o almeno lui non ne sentì alcuno, intento com'era a ridere, ora cancellato, ora costeggiato da fasce d'ombra, intento com'era a produrre un rumore che ricordava una risata, a esprimere vocalmente quella che pareva un'emozione incontenibile, intento com'era a gridare, ad ansimare nel silenzio, intento com'era a emettere una serie di strilli involontari, particelle che rimbalzavano nell'aria intorno a lui, la polvere riproduttiva dell'esistenza."
...dove l'unica soluzione umana possibile sembra lo sciogliersi in un'abbraccio cosmico con il lato oscuro nostro e dell'universo.
Ma non senza fatica.