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Ciao Frank!
Non sono una recensitrice, non ho idea di cosa si scrive dietro una quarta di copertina per far sì che un libro - quantunque penoso - venga venduto a orde di lettori entusiasti, e il commento che seguito a scrivere è animato solo dal fatto che io non solo ho letto le tue parole, ma le ho fatte mie e le ho rese il mio insegnamento principale di vita.
Ho letto 'Le ceneri di Angela' nel 2010, durante il mio secondo viaggio a Francoforte, una delle città che amo più al mondo, e all'inizio ti detestavo per quel modo così volgare e popolano che avevi di scrivere, poi ho capito, e non solo ho capito, ma ho anche divorato. Così, il 15 di Aprile, emozionatissima, ho acquistato 'Che paese, l'America' e 'Ehi, prof!', sperando di ritrovarti sincero, timido e maldestro come ti avevo lasciato quando ti sei imbarcato su la Quercia d'Irlanda che ti avrebbe portato a New York, la città dei tuoi sogni; ti ho lasciato che speravi di arrivare in America ed iniziare una nuova vita per dimenticare la merda dei bassifondi di Limerick, per dimenticare la tua infelice infanzia cattolica e irlandese con un padre che spendeva la paga in bevute, e una madre disperata che doveva far l'elemosina per crescere te e i tuoi tre fratelli.
L'America, il paese della possibilità, dove chiunque può inventarsi un lavoro e reinventarsi, il paese che ti guardava male perché eri un americano, certo, fornito di visto e tutto il resto che la burocrazia ti imponeva, ma eri un irlandese trattino americano. L'Irlanda non la volevi più, l'America sembrava non volerti e così t'ha messo a fare i lavori più bassi, quelli riservati a chi ha smesso di sperare, che è venuto al mondo con due soldi e muore senza nemmeno uno, insomma quelli come te. Ma tu eri diverso, tu ti eri emozionato a leggere Shakespeare quando avevi il tifo, anche se non capivi quello che ti voleva dire, tu andavi a lavorare per riscattare una madre straziata da un marito, tuo padre, che pure non riuscivi a rifiutare, che lasciava i figli senza una briciola di pane pur di bere. Tu volevi studiare, volevi l'istruzione. E invece sei finito nell'esercito, perché dovevi combattere i 'musi gialli', dovevi combattere il comunismo di un paese capitalista, capitalismo di cui ti raccoglievi la cenere negli alberghi di lusso per avvocati, imprenditori, figli d'avvocati e imprenditori che potevano andare all'Università, magari un ateneo dell'Ivy League; ma anche in guerra non ti arrendevi, e non contro il nemico, ma contro il futuro, leggevi e sognavi di tornare a New York con i libri dell'università. E all'Università, ci sei entrato, anche senza il diploma, perché la tua forza di volontà era più forte della forza di un destino che sembrava volerti stroncare le gambe ad ogni passo in più che facevi. Subivi il razzismo, lo vedevi mentre veniva indirizzato agli altri, ti indignavi, ma rimanevi fermo sul tuo posto, ti sentivi tagliato fuori da un mondo in cui parlavano di esistenzialismo mentre tu per pagarti la retta e mantenere madri e fratelli rimasti a Limerick lavoravi ai magazzini, e ti spezzavi la schiena pur di ottenere quello che per te è il tesoro più grande, l'istruzione. L'istruzione, quella stessa istruzione che oggi i ragazzini si scocciano di raggiungere, ragazzini che a casa hanno tutto, e che pure non hanno voglia di istruirsi, di studiare, di spaccarsi il culo come hai fatto tu. Perché a loro l'istruzione la danno addirittura gratuita, e non se la prendono. Tu la volevi, anche a costo di pagarla cara. E sei arrivato ad insegnare, partendo dall'istituto tecnico per arrivare al liceo. Tu non facevi differenza, per te i tuoi alunni erano tutti importanti, che fossero ricchi o poveri, perché come ti diceva sempre il tuo maestro 'potrete anche essere poveri e avere le scarpe, ma la vostra mente sarà sempre un palazzo'. Così hai sopportato di tutto. A scuola, fuori dalla scuola. Ma non ti sei mai fermato. Sei partito dai bassifondi di Limerick con il sogno di fare l'insegnante e, anziché rinunciare, la moglie che voleva che tu facessi un altro lavoro per avere più soldi e comprare mobili Queen Ann l'hai mollata, hai continuato ad insegnare.
Ed io, quando non ho più voglia, quando mi adagio, quando mi sento sfiduciata e mi dico che sto facendo tanto per niente, penso a te; che da piccolo dormivi in un letto pieno di pulci, hai visto tua madre scopare con suo cugino pur di farvi avere un tetto sopra la testa, hai rinunciato a tutto, leggevi in biblioteca, di nascosto, leggevi Dostoevskij e portavi le lettere, raccoglievi frutti di nascosto per mangiare, facevi lo scaricatore, il lavapiatti, qualsiasi cosa, pur di arrivare. Pur di insegnare, che era il tuo obiettivo. E quando penso che non ho voglia di studiare, penso che, così come tu ti sentivi in colpa nei confronti di Horace, il negro che sfidava il razzismo e lavorava in mezzo alle offese dei bianchi pur di mandare il figlio dell'università, io mi sentirei in colpa nei tuoi confronti. Che quelli come me, con i denti bianchi, il pasto pronto e le copertine belle dei libri, li invidiavi.
Io ti ringrazio per aver messo nero su bianco le tue memorie, perché solo così ho aperto gli occhi; perché con te ho capito che se hai un obbiettivo, ci arrivi, anche se vivi in un appartamento di New York senza l'acqua e senza la corrente.
Grazie, Frank.
Non sono una recensitrice, non ho idea di cosa si scrive dietro una quarta di copertina per far sì che un libro - quantunque penoso - venga venduto a orde di lettori entusiasti, e il commento che seguito a scrivere è animato solo dal fatto che io non solo ho letto le tue parole, ma le ho fatte mie e le ho rese il mio insegnamento principale di vita.
Ho letto 'Le ceneri di Angela' nel 2010, durante il mio secondo viaggio a Francoforte, una delle città che amo più al mondo, e all'inizio ti detestavo per quel modo così volgare e popolano che avevi di scrivere, poi ho capito, e non solo ho capito, ma ho anche divorato. Così, il 15 di Aprile, emozionatissima, ho acquistato 'Che paese, l'America' e 'Ehi, prof!', sperando di ritrovarti sincero, timido e maldestro come ti avevo lasciato quando ti sei imbarcato su la Quercia d'Irlanda che ti avrebbe portato a New York, la città dei tuoi sogni; ti ho lasciato che speravi di arrivare in America ed iniziare una nuova vita per dimenticare la merda dei bassifondi di Limerick, per dimenticare la tua infelice infanzia cattolica e irlandese con un padre che spendeva la paga in bevute, e una madre disperata che doveva far l'elemosina per crescere te e i tuoi tre fratelli.
L'America, il paese della possibilità, dove chiunque può inventarsi un lavoro e reinventarsi, il paese che ti guardava male perché eri un americano, certo, fornito di visto e tutto il resto che la burocrazia ti imponeva, ma eri un irlandese trattino americano. L'Irlanda non la volevi più, l'America sembrava non volerti e così t'ha messo a fare i lavori più bassi, quelli riservati a chi ha smesso di sperare, che è venuto al mondo con due soldi e muore senza nemmeno uno, insomma quelli come te. Ma tu eri diverso, tu ti eri emozionato a leggere Shakespeare quando avevi il tifo, anche se non capivi quello che ti voleva dire, tu andavi a lavorare per riscattare una madre straziata da un marito, tuo padre, che pure non riuscivi a rifiutare, che lasciava i figli senza una briciola di pane pur di bere. Tu volevi studiare, volevi l'istruzione. E invece sei finito nell'esercito, perché dovevi combattere i 'musi gialli', dovevi combattere il comunismo di un paese capitalista, capitalismo di cui ti raccoglievi la cenere negli alberghi di lusso per avvocati, imprenditori, figli d'avvocati e imprenditori che potevano andare all'Università, magari un ateneo dell'Ivy League; ma anche in guerra non ti arrendevi, e non contro il nemico, ma contro il futuro, leggevi e sognavi di tornare a New York con i libri dell'università. E all'Università, ci sei entrato, anche senza il diploma, perché la tua forza di volontà era più forte della forza di un destino che sembrava volerti stroncare le gambe ad ogni passo in più che facevi. Subivi il razzismo, lo vedevi mentre veniva indirizzato agli altri, ti indignavi, ma rimanevi fermo sul tuo posto, ti sentivi tagliato fuori da un mondo in cui parlavano di esistenzialismo mentre tu per pagarti la retta e mantenere madri e fratelli rimasti a Limerick lavoravi ai magazzini, e ti spezzavi la schiena pur di ottenere quello che per te è il tesoro più grande, l'istruzione. L'istruzione, quella stessa istruzione che oggi i ragazzini si scocciano di raggiungere, ragazzini che a casa hanno tutto, e che pure non hanno voglia di istruirsi, di studiare, di spaccarsi il culo come hai fatto tu. Perché a loro l'istruzione la danno addirittura gratuita, e non se la prendono. Tu la volevi, anche a costo di pagarla cara. E sei arrivato ad insegnare, partendo dall'istituto tecnico per arrivare al liceo. Tu non facevi differenza, per te i tuoi alunni erano tutti importanti, che fossero ricchi o poveri, perché come ti diceva sempre il tuo maestro 'potrete anche essere poveri e avere le scarpe, ma la vostra mente sarà sempre un palazzo'. Così hai sopportato di tutto. A scuola, fuori dalla scuola. Ma non ti sei mai fermato. Sei partito dai bassifondi di Limerick con il sogno di fare l'insegnante e, anziché rinunciare, la moglie che voleva che tu facessi un altro lavoro per avere più soldi e comprare mobili Queen Ann l'hai mollata, hai continuato ad insegnare.
Ed io, quando non ho più voglia, quando mi adagio, quando mi sento sfiduciata e mi dico che sto facendo tanto per niente, penso a te; che da piccolo dormivi in un letto pieno di pulci, hai visto tua madre scopare con suo cugino pur di farvi avere un tetto sopra la testa, hai rinunciato a tutto, leggevi in biblioteca, di nascosto, leggevi Dostoevskij e portavi le lettere, raccoglievi frutti di nascosto per mangiare, facevi lo scaricatore, il lavapiatti, qualsiasi cosa, pur di arrivare. Pur di insegnare, che era il tuo obiettivo. E quando penso che non ho voglia di studiare, penso che, così come tu ti sentivi in colpa nei confronti di Horace, il negro che sfidava il razzismo e lavorava in mezzo alle offese dei bianchi pur di mandare il figlio dell'università, io mi sentirei in colpa nei tuoi confronti. Che quelli come me, con i denti bianchi, il pasto pronto e le copertine belle dei libri, li invidiavi.
Io ti ringrazio per aver messo nero su bianco le tue memorie, perché solo così ho aperto gli occhi; perché con te ho capito che se hai un obbiettivo, ci arrivi, anche se vivi in un appartamento di New York senza l'acqua e senza la corrente.
Grazie, Frank.