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April 17,2025
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IL GIARDINO DEL MALE


”Casualties of War-Vittime di guerra”, di Brian De Palma, 1989.

Adesso ho quarantatre anni e faccio lo scrittore, e la guerra è finita da un pezzo. In gran parte è difficile ricordare. Siedo a questa macchina da scrivere e fisso oltre le mie parole e guardo…

Se non avessi letto “Dispacci” di Michael Herr, direi che questo è il più bel libro che ho letto sulla guerra del Vietnam. Siccome ho letto “Dispacci” di Michael Herr, non posso dire che questo sia il più bel libro che ho letto sulla guerra del Vietnam. Ma ci va vicino. Molto vicino.
Questa è una raccolta di racconti, “Dispacci” era una raccolta di reportage. Allora, posso dire che questo è il più bel libro di racconti sulla guerra del vietnam che abbia mai letto.
“Dispacci” era per così dire in presa diretta. Questi racconti sono scritti vent’anni dopo i fatti. E nel frattempo O’Brien è diventato uno scrittore di professione, riconosciuto (vincitore del National Book Award nel 1979 col romanzo “Inseguendo Cacciato”, generalmente considerato il più bel romanzo sella guerra del Vietnam).


”Hamburger Hill”, di John Irvin, 1987.

Qualche volta mi sento in colpa. Quarantatre anni e ancora scrivo racconti di guerra. Mia figlia Kathleen dice che è un’ossessione… In un certo senso penso che abbia ragione: dovrei dimenticare. Ma il problema di ricordare è che non si dimentica. Prendi il materiale dove lo trovi, cioè nella tua vita, all’intersezione tra passato e presente… Quarantatre anni, e la guerra è accaduta una mezza vita fa, eppure il ricordare la rende presente. E qualche volta ricordare porta a una storia, e questo la rende eterna. Ecco a cosa servono le storie. Le storie servono a unire il passato al futuro…Le storie servono per l’eternità, quando ogni memoria è cancellata, quando non c’è più niente da ricordare tranne la storia.

La compagnia Alfa è composta da una ventina uomini che ritornano più o meno in tutti i racconti, che infatti si susseguono come fossero i capitoli di una specie di romanzo.
Forse era composta da più uomini, ma O’Brien ne seleziona una ventina circa, e di questi scrive e racconta. Sempre gli stessi, a volte semplici spettatori, comparse, a volte interpreti, protagonisti. A volte vivi, a volte morti. Ma anche da morti ritornano nel racconto di Tim O’Brien, nella sua memoria sono presenti, ancora vivi.


”Platoon”, di Oliver Stone, 1986.

Nonostante tutto il suo orrore, non si può fare a meno di restare a bocca aperta di fronte alla tremenda maestà del combattimento. Fissi i proiettili traccianti che si snodano nell'oscurità come nastri rosso brillante. Ti acquatti per l'imboscata mentre una luna fredda e impassibile si leva nel cielo notturno sopra le risaie. Ammiri la fluida simmetria delle truppe in movimento, le armonie di suono, forma e proporzione, i torrenti di fuoco e metallo che grondano da un elicottero da combattimento, i proiettili illuminanti, il fosforo bianco, il bagliore porpora del napalm, la luce accecante dei razzi. Non si può propriamente chiamare bello. È stupefacente. Riempie lo sguardo. Si impossessa di te. Tu lo trovi orribile, ma i tuoi occhi no.


”Tigerland”, di Joel Schumacher, 2000.

Potrebbe essere la sceneggiatura di uno dei film più belli sul Vietnam, lo script di quel capolavoro intitolato “Apocalypse Now”.
Pagine indimenticabili, che raccontano quella guerra (forse non la guerra in assoluto, ma quella del Vietnam) davvero in tutte le sue sfaccettature, nell’orrore e nel male, così come nello stupore e nel suo fascino perverso.

La guerra è indecente; la guerra è divertente. La guerra è emozionante; la guerra è una sfacchinata. La guerra ti rende uomo; la guerra ti rende morto.


Il soldato di fanteria Tim O’Brien.
April 17,2025
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“They carried all the emotional baggage of men who might die. Grief, terror, love, longing--these were intangibles, but the intangibles had their own mass and specific gravity, they had tangible weight. They carried shameful memories. They carried the common secret of cowardice.... Men killed, and died, because they were embarrassed not to.”
― Tim O'Brien, The Things They Carried



These are just the intangibles that O'Brien packs into 'The Things They Carried'. There is something about Tim O'Brien's second (after 'Going After Cacciato') war masterpiece that just gets me. It is one of my favorite [I know, I know favorite isn't the right word and if I had more time, I'd figure out a better term] war novels ever. I love how O'Briend both masters and subverts the form. I love how he bends the reader through time and space. How O'Brien messes with the idea of what a true war story really is. This novel, along with 'Dispatches' by Kerr and 'Matterhorn' by Marlantes, infuses the Vietnam War with its own mass, a specific gravity and real tangible gravity. These fictional stories seem almost to be as true as any nonfiction books written about the War.

While I haven't been to war, both my brothers and a brother-in-law that have come back from combat in Iraq and Afghanistan and the burdens they all returned with seem to reflect in this novel.
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